martedì 31 luglio 2012

I problemi dell'iperflessione

 Un mio allievo, che è anche e soprattutto un eccellente volteggiatore, Francesco Bortoletto, ha presentato al suo Esame di Maturità 2012 una tesina dai contenuti quanto mai attuali e scottanti: "Considerazioni degli effetti negativi procurati dalle moderne tecniche di equitazione sulle attitudini morfo-funzionali del cavallo". Non mancano collegamenti con la letteratura e la storia, nell'ovvia esigenza di toccare i vari aspetti del programma scolastico.
Per gentile concessione dell'autore, la riporto su questo spazio, certo di fare cosa gradita a tutti.

Trovate la tesina in formato PDF a questo link:
https://docs.google.com/open?id=0B1DfpVFYCUC0REZoVnZTTXl4WVE

sabato 7 luglio 2012

L'importanza delle mani

Mi è capitato di sentire dire, da un popolare istruttore di equitazione classica, le seguenti parole: "Dalla mano non nasce niente!".
Ebbene, questa idea di considerare le mani come aiuto superfluo, non veramente utile, anzi dannoso, è ricorrente nel pensiero di diversi nuovi "guru" dell'equitazione classica attuale. Riferirsi alle mani in questi termini è perfettamente in linea con quanto è affermato nell'equitazione ufficiale, convenzionale, moderna,  dove appunto si esprime la necessità di tenere le mani il più possibile al loro posto, cioè basse e fisse e vicine fra di loro, con il compito unico di resistere, ma mai tirare, comunque di non agire. E soprattutto, se possibile, mai usarle per situazioni come rallentare il cavallo, fermarlo, guidarlo, gestire il suo equilibrio, cose che si devono poter fare solo con gambe e assetto.
Bei propositi ma non corrispondenti a ciò che succede nella realtà quotidiana.

Se ci riferiamo, ad esempio, alla transizione passo-alt, oppure trotto-alt, cioè al fermare un cavallo, è vero che gli si può insegnare questo usando esclusivamente il peso del corpo, o un collare o solo la voce, per esempio. Ma non si parla mai di imboccatura.
Ammiro chi, come molti di coloro che praticano l'equitazione etologica, si servono unicamente di una capezzina o di un collare, e arrivano a fare transizioni senza mai utilizzare l'imboccatura. Ma in questo caso parliamo di semplice (anche se intelligente) gestione del cavallo, non di messa in mano, di cavallo rotondo, o di decontrazione della bocca, ovviamente.

Quello che non capisco, e che trovo assurdo, è vedere gente che invece l'imboccatura la usa, però usa anche rinnegare l' uso sapiente della mano. Gente che parla un gran bene degli aiuti gambe e assetto e mai, praticamente mai,  negli stessi termini dell'aiuto mani, se non per additarlo come male necessario, come elemento disturbatore. Però, quando il cavallo non risponde, ecco magari una imboccatura più forte, o un chiudibocca, o le redini di ritorno, per risolvere i problemi! E questo sempre considerando la mano come qualcosa da non calcolare, da usare il meno possibile. Non è strano?

In realtà la mano è l'aiuto più importante perché è collegata con la parte del cavallo più sensibile di tutte: la bocca. Una buona mano fa il buon cavaliere, una mano sapiente può fare cose che nemmeno delle gambe precisissime o un assetto impeccabile possono fare. La mano crea quella comunicazione fine nel rapporto con il cavallo che porta il binomio a fondersi in un reciproco dialogo, nel  raggiungimento di un'intesa perfetta. Ma prima ancora le mani dirigono il cavallo, lo rallentano e lo fermano, con l'aiuto dell'assetto, grazie alla gestione di quel potente bilanciere che è l'incollatura. Gestendo l'incollatura posso gestire l'equilibrio del cavallo, e anche la sua velocità, le andature e la direzione, appunto.

Il problema è come usare la mano, non se usarla, o usarla il meno possibile. Se si tira da avanti a indietro questo è sempre un errore. Ma se si agisce verso l'alto le cose cambiano, e di molto. Di certo per il cavallo.

Ma a questo punto i puristi dell'equitazione classica, e ancora di più quelli dell'equitazione ufficiale, sono là, pronti a opporsi strenuamente a questa che è considerata una moda, propria dei cosiddetti "karlisti", quella di alzare le mani, appunto. Quindi mani alte, no. E perché mai?

Chi sa veramente usare le mani, ed è un'arte che si apprende con un duro lavoro su se stessi, sa che solo alzandole, e non agendo sulla lingua, ma sulla commessura labiale, si possono ottenere dal cavallo cose impensabili, al di là di ogni immaginazione. Ma, appunto, occorre farlo bene, conoscendone i procedimenti (cessione della mascella, azione-reazione, mezza fermata, flessioni laterali, ecc.), dividendo bene l'azione delle mani da quelle delle gambe, applicando il lavoro delle mani a tanti cavalli diversi per sviluppare la propria sensibilità, che si presume innata, ma che invece occorre acquisire.

Vedere qualcuno in maneggio che alza le mani montando un cavallo è subito considerato grossolano, antiestetico,   di certo non classico, quando, da La Guérinière a Baucher, i grandi Maestri del passato hanno parlato di mani alte spesso e volentieri nelle loro opere. Il problema è come usarle, queste mani, quando, in che situazioni e sapendo cosa si vuole ottenere, quale è l'obbiettivo ultimo. Fra i quali c'è anche quello di arrivare a tenere sempre le mani...basse.

E' pur vero che i maestri che sanno insegnare questi procedimenti oggi sono pochi, e hanno tutti alle spalle la scuola di Philippe Karl. Varrebbe comunque la pena fare lo sforzo di riferirsi a questi per impararli, per il bene del nostro cavallo e, a mio parere, per il futuro della stessa equitazione.

Una esplicativa vignetta di Philippe Karl
("Grazie per avere una buona mano!")

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