domenica 25 aprile 2010

Istruttori e cultura equestre

Mi è stato raccontato, tempo fa, un aneddoto su un istruttore di equitazione che, alla domanda di un suo allievo che gli chiedeva se ci fossero libri da leggere di argomento equestre, gli rispose: “ Sì, ma non è il momento, se un giorno sarai istruttore potrai farlo, ma adesso non capiresti, adesso devi fare quello che ti dico e basta!”.

E’ pur vero che “i libri insegnano a coloro che già sanno”(L’Hotte), ma un allievo, per quanto principiante sia, può trovare in qualche buon libro quanto meno degli spunti per porsi delle domande, per scoprire quanto è articolata la materia, fino anche ad arrivare a sentirsi piccolo di fronte alla vastità del pensiero equestre che nei secoli è stato sviluppato.

Ma il problema è proprio questo: è l’istruttore medio stesso che non legge, non conosce la storia dell’equitazione, le teorie che si sono accavallate nei secoli, i personaggi che l’hanno caratterizzata. Spesso non ha una conoscenza nemmeno del cavallo inteso come animale erbivoro, con una sua psicologia, un suo apparato locomotore, una sua anatomia, una sua fisiologia, e quanto tutto questo sia collegato con il fatto di montarlo e di chiedergli qualche cosa dal punto di vista tecnico.

Sulla base di questo c’è un evidente interesse a mantenere l’allievo in uno stato di ignoranza sufficientemente elevato da evitare che egli  porga a sé stesso e a lui delle domande.

Anzi, l’allievo viene educato, giorno dopo giorno, a seguire le indicazioni dell’istruttore senza batter ciglio, senza un “perché” e qualche volta senza un “come”! Fai, gli viene detto, e un giorno capirai, anche se quel giorno non arriva mai.

L’allievo, magari per essere accettato nel club, per conformismo, si adatta alla situazione, rinuncia a un atteggiamento critico, sa che qualche cosa non va ma non vuole rendersi la vita difficile, magari ha anche un cavallo che gli dà problemi e che è stato dichiarato inabile a un qualsivoglia lavoro, sia pur elementare (la prospettiva cambio di cavallo è quella più attraente se non l’unica), ma non cerca altre vie (pena l’allontanamento dal maneggio), non aspira a imparare di più, addirittura pensa che non ci sia nemmeno più niente da imparare!

L’equitazione commerciale è lo scenario tipico di questo stato di cose, là dove il giro di cavalli che vanno e vengono dalla scuderia, le competizioni alle quali si è obbligati a partecipare senza magari nemmeno avere una preparazione adeguata, l’uso indiscriminato di farmaci e la visione del cavallo come macchina sportiva senza un’anima e una personalità, la fanno da padrone.

Gli istruttori, peraltro, hanno paura che venga in qualche modo messo in pericolo l'equilibrio del proprio entourage da qualche allievo curioso o magari un po’ più consapevole e acculturato. Non parliamo del rapporto con i colleghi istruttori, assolutamente da evitare e isolare quelli di cui si conoscono le capacità e le competenze, pochi in verità, ma appunto che non devono entrare nella sfera dei propri allievi-clienti: si dovrebbero sopportare antipatici confronti per poi trovarsi anche a rendere conto del lavoro che i propri allievi vedono fare a questi istruttori, lavoro che è diverso dal loro.

Insomma, l’unica possibilità per un cavaliere che voglia aspirare a crescere e migliorare e imparare sempre di più, è quella di uscire dal mondo incantato del proprio centro ippico e cominciare a girare e informarsi e conoscere nuovi personaggi, nuove tendenze, nuove filosofie, oltre a leggere il più possibile le opere dei maestri del passato e, perché no, a confrontarsi in rete che per fortuna offre, in questo senso, una notevole via di fuga e di libertà, come per molte altre cose.

domenica 11 aprile 2010

La Madre di tutte le equitazioni

Quando si parla di equitazione classica spesso si pensa ad eccentrici cavalieri, con la paura di saltare e un po’ snob, che montano magari cavalli barocchi, con morsi e speroni ardenti, magari con costumi d’epoca.

Ma in equitazione classica non esiste un particolare tipo di cavaliere, né un particolare tipo di cavallo, e nemmeno un particolare tipo di abbigliamento.
Non si può considerare una disciplina, né sportiva né da lavoro, chi la pratica non si veste con costumi del XVIII sec., può avere stivali da dressage, camperos, ghette o... calzettoni da endurancista.
Si pratica con qualsiasi cavallo, di ogni razza e modello, e si può approcciare qualsiasi sia la sella che si ha sotto il sedere.

Lo scopo dell'Equitazione Classica è quello di fare da base a tutte le discipline equestri, aiuta qualsiasi cavaliere a migliorare la situazione del proprio cavallo indipendentemente da quello che gli fa fare, che sia saltare, correre dietro ai vitelli o uscire in passeggiata.
Quello che avrebbe dovuto fare il Dressage moderno, e che invece ha fallito miseramente nel suo compito, era quello di preservare nella forma e nella sostanza i principi classici equestri. Totalmente stravolti quelli, il Dressage è diventata una disciplina iperspecializzata, che ha bisogno di un certo tipo di cavalli per essere praticata e di molti soldi per poter avere successo, là dove le capacità, il lavoro e la competenza non servono più.

L'Equitazione Classica non fa a cazzotti con le tecniche cosiddette naturali (Parelli, HP, Monty Roberts, ecc.), ne rispecchia in pieno i principi, è complementare ad esse, in ogni caso il rispetto per il cavallo rimane al primo posto.

In Equitazione Classica il cavallo non si usa, non si sfrutta, non è il mezzo, è il fine. Il cavallo si lavora, si plasma , si modella, ci si relaziona.

In Equitazione Classica il cavallo si sente meglio e, spesso, diventa un animale felice.

L'Equitazione Classica si può considerare come la "Madre di tutte le Equitazioni".

martedì 6 aprile 2010

Mani e gambe

Esistono delle definizioni, dei procedimenti e delle convinzioni nel mondo equestre assai popolari e condivise da tutti. Ne prendiamo in esame alcune spiegando come e perché la Scuola della Leggerezza prenda le distanze da questi che considera dei veri e propri dogmi dell’equitazione moderna.

Definizione di messa in mano, molto popolare e condivisa da tutto il mondo equestre: la messa in mano si ottiene attraverso una attivazione dei posteriori tramite le gambe che spingono in avanti il cavallo e creano impulso, e una contemporanea presa di contatto della mano con la bocca del cavallo. L’impulso, passando attraverso la schiena e il garrese, arriva alla bocca e alla mano del cavaliere che lo regola, lo filtra, lo raccoglie. Il cavallo va ad arrotondarsi, ad ammorbidirsi, risultando leggero.
Questa definizione descrive una situazione assai improbabile, difficile da verificarsi salvo forse in soggetti particolarmente dotati, con una morfologia ed un equilibrio fisico e mentale eccezionali.
Bisogna considerare il punto di vista del cavallo, allora si comprende come per lui questo procedimento normalmente sia fuori dalla logica.
Una mano bassa che resiste non ha niente di diverso da una mano che tira quando il cavallo è sollecitato ad andare su di essa dalle gambe, anche se la mano non opera veramente una trazione da avanti a indietro. Questa infatti per il cavallo significa pressione costante del ferro sulla lingua, di fatto un freno permanente. Ora, un cavallo che non è stato educato a comprendere la mano del cavaliere e l’imboccatura attraverso un lavoro specifico, isolato e mirato sulla bocca, tramite per esempio una cessione della mascella, non capisce il significato di questa tensione che si crea in bocca mentre viene spinto in avanti dalle gambe. Parliamo infatti di due azioni per che il cavallo significano due richieste in antitesi fra di loro.
Un cavallo non è fatto per sfondare muri e porte. Per non dovere continuamente “dare le gambe” per farlo camminare, non chiudetegli la porta davanti al naso. Solo allora voi non dovrete più tentare di sfondare a colpi di tallone la porta che le vostre mani chiudono.
(tratto da: “Equitazione figurata” di Pierre Chambry e Jean Licart, Siaec)




Caso analogo, nella mezza fermata ufficialmente riconosciuta, gli aiuti mani, gambe ed assetto agiscono simultaneamente, situazione appunto non dissimile da quella che serve a mandare il cavallo nella mano. Anche in questo caso c’è contemporaneità nell’uso di aiuti che hanno un significato diametralmente opposto. Inoltre l’assetto, inteso come uso del bacino, non ha il potere che gli si attribuisce di essere in grado di provocare l’impegno dei posteriori, salvo forse nel caso in cui si monta il cavallo a pelo… ma anche così per lui questa azione è sinonimo solo di un cavaliere che si agita in sella.
Altra situazione tipica, quella di usare le gambe nelle transizioni a scendere con l’idea di far venire i posteriori sotto alla massa. Ancora dal punto di vista del cavallo, pratica insensata perché ancora una volta si tratta di messa in gioco di aiuti contraddittori fra di loro.
Insomma il cavallo, anziché andare nella mano, o rilevare morbidamente l’incollatura, o eseguire transizioni fluide, prestando attenzione al cavaliere in maniera fiduciosa, si sente costretto fra mani e gambe e sorgono  guai di ogni genere: per esempio, comincia a rovesciare sempre più l’incollatura per sottrarsi al dolore provocato dal filetto sulla lingua, oppure, essendo portato ad appesantirsi, diventa sempre più forte sulla mano fino a rendere impossibile il suo controllo, e ancora, avendo un freno costante sulla bocca, inizia a non rispondere più alle gambe.
Ecco il perché di tanti problemi in questo ambito, il perché dell’uso delle imboccature più svariate, di redini ausiliarie di tutti i tipi (di ritorno, elastiche, gogue, chambon, ecc.), di chiudibocca sempre più stretti.

Ancora una pratica comune di molti cavalieri, specie di medio-alto livello, è quella di cercare la riunione spingendo il cavallo in avanti con le gambe e assetto, e trattenendo con le mani, con l’idea di far venire i posteriori sotto la massa e alleggerendo così il treno anteriore (il garrese dovrebbe alzarsi e l’incollatura rilevarsi).
Anche questa idea, fra l’altro molto suggestiva ma, secondo i principi della Scuola della Leggerezza, assolutamente falsa e non attinente alla realtà, presenta le stesse problematiche di cui accennato fino ad ora.
In primo luogo, questo procedimento, infatti, induce i cavalieri a prendere un contatto deciso con la bocca del cavallo (redini tese) con le mani basse, e contemporaneamente ad attivare continuamente le gambe. Da ciò consegue che il cavallo si sente chiedere dal cavaliere di andare avanti e nello stesso tempo di rimanere sul posto da mani che resistono ma che, rimanendo basse, di fatto tirano.
Questa, ancora una volta, è una messa in gioco di aiuti contradditori fra di loro, che portano il cavallo a non capire più cosa si vuole da lui: andare avanti o rimanere sul posto? In questa situazione in lui cresce l’ansia, l’irrigidimento, e nascono  atteggiamenti di insofferenza alla mano e di difesa come digrignamento di denti, lingua penzolante, forte peso sulle braccia, ecc., oppure il cavallo si mette indietro, scarta, va in fuga, si impenna, ecc.


Rappresentazioni dell'impulso secondo l'equitazione ufficiale, immagini suggestive ma prive di fondamento. Questa idea crea di fatto un'equitazione basata sullo "spingere e il tirare", oltre a cavalli sottoposti continuamente a compressione (che non è riunione).

In secondo luogo, quello che si ottiene, quando il cavallo per qualche motivo subisce silenziosamente questa che si può considerare una vera e propria tortura, è compressione, e non certo riunione, e si accompagna quasi sempre ad un grado più o meno elevato di incappucciamento, ossia la posizione del collo e della testa molto bassa e il naso dietro la verticale o addirittura al petto. Il cavallo è contratto perché sotto pressione, quindi la decontrazione, ingrediente indispensabile della riunione, è inesistente. Questa contrazione muscolare, di fatto accorciamento della muscolatura, è in antitesi con l’allungamento dei muscoli dorsali e dell’incollatura, prerequisito indispensabile per la riunione stessa.
Inoltre, la riunione avviene quando il cavallo, abbassando le anche e portando i posteriori sotto la massa, trasferisce il suo baricentro indietro. Nella compressione invece accade che il cavallo si appesantisce davanti affossando il garrese fra le spalle.
È evidente quindi che siamo lontani da una qualsiasi idea di riunione nel senso classico del termine, anche se oggi viene comunemente accettata come tale anche quella situazione dove appunto il cavallo è incappucciato, contratto, sulle spalle. Chiaro segnale di una deriva tecnica e culturale in atto nel mondo equestre.

La Scuola della Leggerezza propone una visione opposta e antitetica sia per quello che riguarda la messa in mano che per ciò che riguarda la progressione per arrivare alla riunione.
Essa prevede che il punto di partenza del lavoro sia situato nella parte anteriore del cavallo, e non in quella posteriore, con particolare riferimento alla bocca, fonte della maggior parte delle difese e dei problemi legati proprio alla ricerca della messa in mano e, di conseguenza, della riunione.
Questa visione trae origine dalle scoperte di François Baucher (1796-1873) il quale, operando una vera e propria rivoluzione copernicana dell’equitazione, cominciò a considerare la riunione come risultato (e passaggio successivo) della decontrazione e della messa in mano, in opposizione alla visione fino ad allora comunemente accettata che considerava la riunione una premessa indispensabile per arrivare alla messa in mano e alla decontrazione totale.                                                                            
In particolare egli individuava nella decontrazione della bocca (e della mascella) e nella flessibilità dell’incollatura le premesse indispensabili per portare il cavallo nella mano e prerogativa indispensabile per arrivare a riunirlo, mettendo a punto un sistema che invertiva completamente il principio che tutto partirebbe dai posteriori, dalla spinta da dietro e come conseguenza si migliorerebbe il davanti, ossia la leggerezza alla mano e l’equilibrio generale, fino ad arrivare alla riunione.
A questo proposito occorre sottolineare il fatto che nel cavallo la necessità di essere rilassato e flessibile, prima di impegnarsi in una ginnastica e in esercizi difficili che richiedono contrazione muscolare, è perfettamente in linea con le esigenze della fisiologia del muscolo in preparazione allo sforzo fisico, come ben sanno allenatori e preparatori di atleti degli sport più diversi. Viene da chiedersi come mai per l’atleta-cavallo le cose dovrebbero essere differenti.

Altro concetto fondamentale del Baucher “seconda maniera” ed espresso in modo ineccepibile dai suoi successori Etienne Beudant e François Faverot de Kerbrecht, era il famoso “mani senza gambe, gambe senza mani”. Questo concetto di importanza capitale è oggi praticamente ignorato e utilizzato inconsapevolmente solo da qualche cavaliere di talento. In termini pratici:
- usare le gambe (supportate da un eventuale aiuto accorto e intelligente della frusta), avendo cura di andare avanti con le mani, lasciando per così dire libera la strada davanti al cavallo;
- non cercare ad ogni costo di “raccogliere”, tramite una tensione costante e prolungata di redini tese con mani basse, l’impulso che si è venuto a creare ma lasciare che il cavallo esprima il movimento in avanti;
- usare le mani, meglio se portandole verso l’alto, in assoluta assenza di gambe, quando si tratta di rallentare il cavallo, o di fermarlo, o di eseguire una mezza fermata.
Con soggetti giovani all’inizio dell’addestramento, la scuola degli aiuti diventa così materia comprensibile e interessante, il cavallo non va in confusione e non viene disgustato da essi, e l’equitazione diventa veramente piacevole per lui e per il suo cavaliere.

La mezza fermata classica, quella proposta da François Robichon de La Guérinière (1688-1751), prevede il solo uso delle mani, peraltro dal basso verso l’alto, niente a che vedere da quella praticata ed insegnata oggi. L’assoluta assenza di gambe ne è la caratteristica principale, e si usa generalmente per alleggerire alla mano un cavallo che tende ad appesantirsi sul davanti, e non per richiamarne l’attenzione in vista di un esercizio. La mano non opera trazione da avanti a indietro ma agisce verso l’alto, anche in questo caso agendo sulla commessura labiale, risparmiando la lingua del cavallo, e finisce la sua azione con una discesa di mano cioè la mano si riabbassa lasciando pressoché libero il cavallo, per verificare che esso sostenga la sua incollatura da solo.

La riunione, infine, arriva alla fine di un percorso non facile e non breve (questo dipende dall’esperienza del cavaliere), scandito da un approfondito lavoro su due piste, con particolare attenzione alla spalla in dentro, dalle transizioni, dallo studio dei passi indietro e infine, dal curare le transizioni stesse a un livello sempre più alto, giungendo al piaffer, che è un po’ la prova del nove della riunione e del buon lavoro fatto fino a quel momento. A questo livello gli aiuti mani e gambe hanno già iniziato a combinarsi fra di loro e a sovrapporsi, ma c’è da sottolineare che il cavallo a questo punto ha imparato in tutti i suoi aspetti più sottili il significato delle gambe (alla cinghia, arretrate) e della mano (decontrazione della bocca, flessioni, mezze fermate) quindi dispone di una scuola degli aiuti eccellente.
Così come il bambino a scuola impara le lettere dell’alfabeto (mani, gambe e assetto) e poi inizia a disporle per formare le parole (transizioni, lavoro su due piste) e infine a combinare le parole per formare frasi (riunione).
Insomma, lo studio della riunione è un processo lento e impegnativo, che richiede tempo e dedizione, e non si risolve nel mettere sbrigativamente il cavallo fra mani e gambe, contando magari solo sulla qualità del cavallo, ma è una meta ambita e sudata di chi tiene in considerazione l’aspetto fisico, morale e mentale del proprio cavallo.

domenica 4 aprile 2010

Un'ora di stress

Sul numero di aprile 2010 di “Cavalli&Cavalieri”, nota rivista degli sport equestri, c’è un ottimo articolo della dottoressa Emanuela Valle.


Da esso emerge che, secondo uno studio di un’equipe di studiosi francesi specializzati in etologia, i cavalli manifestano più o meno stress (stereotipie tipiche, ballo dell’orso, tic d’appoggio, ecc.) a seconda del tipo di attività che svolgono.

Infatti ”pare che l’ora di lavoro quotidiana e la preparazione specifica a cui vanno incontro (i cavalli, ndr) influenzi il loro benessere anche nelle ventitré ore che trascorrono in box”. In particolare i cavalli che praticano Dressage e Alta Scuola sarebbero i soggetti più coinvolti, rispetto a coloro che praticano altre attività o discipline.

Se vogliamo, è un po’ la scoperta dell’acqua calda, soprattutto se si pensa a che cosa è il dressage oggi e a che cosa sono sottoposti i cavalli da parte di cavalieri che pretendono di lavorarli in piano: incappucciamento costante, redini fisse, speroni forti, compressione continua, mani e gambe insieme tutto il tempo.

Se parliamo di benessere, però, non è così scontato il fatto che al cavallo gli si possono dare tutte le possibili comodità, gli si può prestare la massima attenzione in scuderia, gli si possono dare molte ore di paddock o farcelo addirittura vivere, si può fare attenzione a ogni minima sua esigenza, ma se a questo non segue un lavoro o un’attività che non sia una tortura in piena regola, tutto questo è abbastanza inutile.

Non tutti sono consapevoli di questo fatto, anzi molti si chiedono come mai il proprio cavallo manifesti ombrosità, aggressività, o sia così facilmente soggetto a problemi fisici di ogni tipo, da quelli più banali, come per esempio una dermatite, a quelli più gravi, come una colica, nonostante tutte le attenzioni rivolte: alimentazione sopraffina, stabulazione perfetta, paddock, due coperte d’inverno, spray anti insetti d’estate e chi più ne ha più ne metta.

Il nostro rapporto con lui è certamente al primo posto nella scala dei suoi valori e, se questo non è buono o addirittura è basato sulla violenza fisica e psichica o sulla coercizione, non un’ora, ma anche solo dieci minuti di lavoro scorretto possono risultare disastrosi per la qualità di tutta la sua vita.

giovedì 1 aprile 2010

Marco e Gemma: travers al trotto

vedi il video qui

Marco e Gemma: spalla in dentro al trotto

vedi il video qui

Karl a Verden

Il 22 dicembre scorso ho parlato con Karl sull'incontro di Verden.
Mi ha detto che è stato molto contento di come si è svolta la cosa, che è stata assai gradita dal pubblico presente (non c'era un posto libero) che alla fine si è espresso in una standing ovation di un minuto buono.
Anche la presentazione del lavoro dei suoi allievi è andata bene, nonostante molti di loro non avessero l'abitudine a lavorare in un contesto del genere. Tutti hanno lavorato su due piste, qualcuno sui cambi di galoppo, quasi tutti hanno presentato piaffer, passage e passo spagnolo. Il tutto assolutamente con cavalli ordinari, dalle andature normali e alcuni anche con conformazioni evidentemente non da cavalli "da dressage".
Insomma l'ho sentito veramente soddisfatto, ha detto che sono rimasti delusi solamente coloro che volevano vedere i soliti trotti allungati spaziali, cavalli rimbalzanti (e contratti) e andature super. Ma è la solita storia.
Fra il pubblico c'era gente che veniva da tutta Europa ma anche da Stati Uniti, Canada, ecc., fra i quali anche gente del mondo del dressage agonistico.

La parte negativa.
Gerd Heuschmann ha ritrattato tutto il buono che aveva affermato i mesi scorsi. Karl si aspettava già da un po' questo, e Heuschmann ha fatto una relazione molto filo-scuola tedesca, spiegando che cosa non va fatto, per es. l'incappucciamento, ma di fatto accettando per buoni i principi della equitazione attuale, quelli proprio sui quali Karl si sta battendo per confutarne la logica e la efficacia.
La sua, quella di Heuschmann, è stata una inversione di 180°, molto probabilmente non ha avuto il coraggio di andare avanti su questa strada e magari anche la Fei ha fatto pressione su di lui perché rimanesse dalla sua parte. Scusate l'espressione pittoresca: in pratica non ha avuto le palle.
Oltre a questo, secondo Karl, essendo la sua preparazione tecnico-equestre molto limitata, egli non riesce ad apprezzare fino in fondo determinati aspetti dell'equitazione che Karl propone, anche se a parole lo aveva già fatto. Ma adesso si sta ricredendo, e qualcuno deve avergli fatto cambiare idea...
Presto Karl scriverà di questo sul suo sito.

Intanto la Fei ha chiesto a Karl di partecipare con i suoi rappresentanti a un incontro a Warendorf. Vogliono rimediare alla brutta figura di Cristoph Hess.

Cavalli & Cavalieri

Ho mandato una e-mail alla rivista Cavalli&Cavalieri di cui riporto il testo:

"Gentile Redazione,
sono un istruttore della Scuola di Leggerezza e ho apprezzato molto il Vostro articolo apparso sul numero di agosto 2009 “Addestramento o costrizione?”, dove viene presentato Philippe Karl e la sua filosofia di lavoro in maniera chiara e precisa.
Avrei da fare però una precisazione in merito alla posizione della FN, la Federazione Equestre Tedesca, sul documento presentato da Philippe Karl con i suoi nove punti, così come da voi riportato nell’articolo.
Come confermatomi dallo stesso Karl, che ho avuto modo personalmente di contattare nei giorni scorsi, la FN non solo non ha fatto a lui richiesta di produrre il suddetto documento ma non si è nemmeno posta il problema. Tanto che, infatti, ha anche impiegato circa tre mesi prima di dare una qualsiasi risposta, e solo dopo che lo stesso documento è apparso su alcune riviste di settore in Germania.
Quindi questo “avvertire la necessità di cambiamenti...” è semmai proprio del mondo equestre tedesco in generale e non della FN, la quale sente tutto fuorché “la necessità di rivedere il proprio regolamento”! Inoltre, che essa sia, per esempio, alle prese con “conflitti interni generati da problematiche legate al doping” fa giusto intuire quanti e quali siano i problemi di poca pulizia e trasparenza nel mondo equestre agonistico tedesco e purtroppo anche internazionale.
Per la verità Philippe Karl è una vera e propria spina nel fianco del mondo equestre attuale e del dressage in particolare: il suo ultimo libro uscito direttamente in lingua tedesca “Irrwege des Modernen Dressur” (ossia “La deriva del dressage moderno”) è una analisi spietata ma circostanziata e una critica feroce ma motivata, dei dogmi, delle contraddizioni e dei fondamenti equestri ufficialmente riconosciuti oggi. Esso ha suscitato scalpore in Germania (e con le edizioni in lingua francese e inglese anche in tutta Europa e oltreoceano) e ha già pestato non poco i calli alla tecnocrazia equestre tedesca e internazionale.
La risposta della FN ai nove punti del documento, del resto, non fa che confermare una posizione chiusa e irrigidita della dirigenza sportiva equestre, là dove “le sue proposte non possono essere, se non parzialmente, applicate perché non ritenute compatibili con il dressage attuale”, adducendo argomentazioni fumose e banalizzando, oltreché minimizzando i problemi reali.
RingraziandoVi ancora per la bella visibilità che avete contribuito a dare alla Scuola della Leggerezza, peraltro ancora poco conosciuta, Vi porgo i miei più cordiali saluti."

La "masticazione"

Numerosi Maestri del passato, anche autorevoli, hanno lasciato scritto a riguardo di quella che comunemente viene definita "masticazione", intendendo la mobilità e la disponibilità della bocca alla minima sollecitazione del cavaliere. Ma la decontrazione della mascella non è affatto accomunabile all'atto del masticare, cosa che comporterebbe un susseguirsi di contrazioni nel serrare e scostare i denti (come per triturare qualcosa), in effetti tale comportamento si associa spesso a un utilizzo forte dell'imboccatura, ma bensì ne è l'esatto opposto: la mascella non è mai serrata, vi è una morbida mobilità della lingua e riflesso di deglutizione. Sembra dunque che oggi si debba ricorrere con molta prudenza al termine "masticazione", consacrato certo all'uso, ma squalificato nel suo significato letterale.

Le mani


Le mani, in equitazione, seppur considerate uno degli aiuti principali (insieme alle gambe e all'assetto), nella pratica quotidiana e nella didattica hanno un ruolo quasi marginale, in ogni caso passivo, e sembra che la cosa migliore da fare fin dall'inizio, da quando si comincia ad addestrare un cavallo, sia quella di usarle il meno possibile. È pur vero che è meglio non usare le mani affatto, evitando il rapporto con la bocca del cavallo, evitando il contatto dunque (in equitazione naturale non a caso si comincia con una capezza), che usarle a sproposito, correndo il rischio di creare delle difese nel cavallo che, sentendosi offeso in bocca, reagisce facendo di tutto tranne che ubbidire al cavaliere. Cerchiamo subito di sfatare alcune credenze tanto diffuse quanto inesatte: per esempio che tirare in bocca al cavallo sia necessario per rallentare e fermarsi, oppure che le mani debbano essere tenute basse e ferme e debbano muoversi il meno possibile, o anche che per girare a destra sia necessario tirare la redine destra lasciando la sinistra, e viceversa. O anche, e questa è una moda consolidata, che per ammorbidire la bocca del cavallo e fletterlo occorra "spugnare" con le mani quando non addirittura seghettare alternando destra e sinistra.

Quando mettiamo un pezzo di ferro in bocca al cavallo (come è, di fatto,un filetto) e tendiamo le redini con le nostre mani, mantenendole basse, il filetto agisce sulle barre, certamente, ma soprattutto sulla lingua, e questo genera dolore, contrazione, a volte anche ribellione, essendo la lingua stessa un organo molto vascolarizzato ed innervato. Affinché questo non accada è necessario che qualsiasi azione noi facciamo con le mani, che sia una sola o entrambe, sia orientata verso l'alto, questo per evitare il problema di schiacciare la lingua e nello stesso tempo poter agire sulla commessura labiale. Questo già di per sè provoca l'apertura della bocca e di conseguenza la masticazione(*), elemento basilare per poter arrivare alla decontrazione che gioca un ruolo decisivo nel conseguimento dell'ammorbidimento di tutta la muscolatura del cavallo.
Viene da sè che capezzine strette, chiudibocca e qualsiasi mezzo che limiti la mobilità della mascella sono da bandire. Agire con le mani verso l'alto è il mezzo per conseguire il fine di poterle mantenere, successivamente, basse. Infatti un cavallo con la bocca educata, perfettamente addestrato e in equilibrio, si può guidare con in mano il peso delle redini, tenendo le mani basse e muovendo solo le dita. Il problema però è che il cavallo non nasce già addestrato e per arrivare a questo risultato occorre agire con le mani stesse, e in molti casi verso l'alto, per ottenere quella che si chiama messa in mano elementare, situazione ottimale di contatto, decontrazione, equilibrio, in cui il cavallo dispone l'incollatura secondo la volontà del cavaliere, senza forzature, e accetta ogni indicazione delle mani.
Per quanto riguarda la direzione, essa va indicata per mezzo di una redine d'apertura dalla parte in cui si vuole andare, evitando anche qui ogni possibile trazione verso l'indietro, che frenerebbe il movimento in avanti, e di una redine di appoggio (sul collo) esterna, che "chiude la porta" dalla parte opposta. Più si tengono le mani separate fra di loro e più è chiara la direzione per il cavallo, e questa è una cosa di cui tenere conto specialmente con i cavalli nelle prime fasi di addestramento o con i cavalli particolarmente difficili da guidare.

Un cavallo perfettamente addestrato, peraltro, è in grado di essere guidato con le redini tenute in mani molto vicine fra di loro o addirittura tenute in una sola mano. Le funzioni delle mani sono dunque molteplici: dare la direzione al cavallo; creare la decontrazione della bocca; eseguire la mezza fermata (azione repentina verso l'alto con successiva discesa di mano, cfr. de La Guérinière) quando necessaria, per alleggerire, per decontrarre o per alzare la testa; flettere l'incollatura, allungarla, rilevarla, abbassarla secondo le necessità del momento e le attitudini del cavallo. Il tutto con l'idea dominante di non eseguire mai una trazione da avanti a indietro, e di alzare una sola o entrambe le mani quando dobbiamo cercare di modificare l'atteggiamento della testa e del collo del cavallo, intervenendo sulla bocca senza offenderlo, per trovare il migliore equilibrio e per fare una ginnastica al meglio arrivando, in definitiva, alla messa in mano.

Con tutto ciò, partire con l'idea che le mani abbiano una funzione secondaria, rispetto alle gambe e all'assetto, significa limitare di molto le prospettive nel lavoro del cavallo, privandoci della possibilità di addestrarlo al meglio, e aumentando la probabilità di incontrare delle difficoltà serie con cavalli non particolarmente dotati morfologicamente e caratterialmente. Usare le mani con perizia (in accordo, ovviamente, con gambe e assetto) è uno degli obiettivi più importanti da perseguire per diventare cavalieri e aspirare alle vette dell'equitazione classica, che siano lavorare in Alta Scuola nella Leggerezza o compiere, per esempio, un percorso di salto ostacoli con il cavallo perfettamente agli ordini. Come il musicista usa le mani per suonare il pianoforte, così il cavaliere ha bisogno delle mani per suonare quello strumento, forse più complesso, che è il cavallo, e la sensibilità che deve avere nelle dita è la medesima.
"L'Equitazione parte dalla testa e arriva alle dita passando per il cuore" (Philippe Karl).
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