domenica 25 aprile 2010
Istruttori e cultura equestre
Mi è stato raccontato, tempo fa, un aneddoto su un istruttore di equitazione che, alla domanda di un suo allievo che gli chiedeva se ci fossero libri da leggere di argomento equestre, gli rispose: “ Sì, ma non è il momento, se un giorno sarai istruttore potrai farlo, ma adesso non capiresti, adesso devi fare quello che ti dico e basta!”.
E’ pur vero che “i libri insegnano a coloro che già sanno”(L’Hotte), ma un allievo, per quanto principiante sia, può trovare in qualche buon libro quanto meno degli spunti per porsi delle domande, per scoprire quanto è articolata la materia, fino anche ad arrivare a sentirsi piccolo di fronte alla vastità del pensiero equestre che nei secoli è stato sviluppato.
Ma il problema è proprio questo: è l’istruttore medio stesso che non legge, non conosce la storia dell’equitazione, le teorie che si sono accavallate nei secoli, i personaggi che l’hanno caratterizzata. Spesso non ha una conoscenza nemmeno del cavallo inteso come animale erbivoro, con una sua psicologia, un suo apparato locomotore, una sua anatomia, una sua fisiologia, e quanto tutto questo sia collegato con il fatto di montarlo e di chiedergli qualche cosa dal punto di vista tecnico.
Sulla base di questo c’è un evidente interesse a mantenere l’allievo in uno stato di ignoranza sufficientemente elevato da evitare che egli porga a sé stesso e a lui delle domande.
Anzi, l’allievo viene educato, giorno dopo giorno, a seguire le indicazioni dell’istruttore senza batter ciglio, senza un “perché” e qualche volta senza un “come”! Fai, gli viene detto, e un giorno capirai, anche se quel giorno non arriva mai.
L’allievo, magari per essere accettato nel club, per conformismo, si adatta alla situazione, rinuncia a un atteggiamento critico, sa che qualche cosa non va ma non vuole rendersi la vita difficile, magari ha anche un cavallo che gli dà problemi e che è stato dichiarato inabile a un qualsivoglia lavoro, sia pur elementare (la prospettiva cambio di cavallo è quella più attraente se non l’unica), ma non cerca altre vie (pena l’allontanamento dal maneggio), non aspira a imparare di più, addirittura pensa che non ci sia nemmeno più niente da imparare!
L’equitazione commerciale è lo scenario tipico di questo stato di cose, là dove il giro di cavalli che vanno e vengono dalla scuderia, le competizioni alle quali si è obbligati a partecipare senza magari nemmeno avere una preparazione adeguata, l’uso indiscriminato di farmaci e la visione del cavallo come macchina sportiva senza un’anima e una personalità, la fanno da padrone.
Gli istruttori, peraltro, hanno paura che venga in qualche modo messo in pericolo l'equilibrio del proprio entourage da qualche allievo curioso o magari un po’ più consapevole e acculturato. Non parliamo del rapporto con i colleghi istruttori, assolutamente da evitare e isolare quelli di cui si conoscono le capacità e le competenze, pochi in verità, ma appunto che non devono entrare nella sfera dei propri allievi-clienti: si dovrebbero sopportare antipatici confronti per poi trovarsi anche a rendere conto del lavoro che i propri allievi vedono fare a questi istruttori, lavoro che è diverso dal loro.
Insomma, l’unica possibilità per un cavaliere che voglia aspirare a crescere e migliorare e imparare sempre di più, è quella di uscire dal mondo incantato del proprio centro ippico e cominciare a girare e informarsi e conoscere nuovi personaggi, nuove tendenze, nuove filosofie, oltre a leggere il più possibile le opere dei maestri del passato e, perché no, a confrontarsi in rete che per fortuna offre, in questo senso, una notevole via di fuga e di libertà, come per molte altre cose.
E’ pur vero che “i libri insegnano a coloro che già sanno”(L’Hotte), ma un allievo, per quanto principiante sia, può trovare in qualche buon libro quanto meno degli spunti per porsi delle domande, per scoprire quanto è articolata la materia, fino anche ad arrivare a sentirsi piccolo di fronte alla vastità del pensiero equestre che nei secoli è stato sviluppato.
Ma il problema è proprio questo: è l’istruttore medio stesso che non legge, non conosce la storia dell’equitazione, le teorie che si sono accavallate nei secoli, i personaggi che l’hanno caratterizzata. Spesso non ha una conoscenza nemmeno del cavallo inteso come animale erbivoro, con una sua psicologia, un suo apparato locomotore, una sua anatomia, una sua fisiologia, e quanto tutto questo sia collegato con il fatto di montarlo e di chiedergli qualche cosa dal punto di vista tecnico.
Sulla base di questo c’è un evidente interesse a mantenere l’allievo in uno stato di ignoranza sufficientemente elevato da evitare che egli porga a sé stesso e a lui delle domande.
Anzi, l’allievo viene educato, giorno dopo giorno, a seguire le indicazioni dell’istruttore senza batter ciglio, senza un “perché” e qualche volta senza un “come”! Fai, gli viene detto, e un giorno capirai, anche se quel giorno non arriva mai.
L’allievo, magari per essere accettato nel club, per conformismo, si adatta alla situazione, rinuncia a un atteggiamento critico, sa che qualche cosa non va ma non vuole rendersi la vita difficile, magari ha anche un cavallo che gli dà problemi e che è stato dichiarato inabile a un qualsivoglia lavoro, sia pur elementare (la prospettiva cambio di cavallo è quella più attraente se non l’unica), ma non cerca altre vie (pena l’allontanamento dal maneggio), non aspira a imparare di più, addirittura pensa che non ci sia nemmeno più niente da imparare!
L’equitazione commerciale è lo scenario tipico di questo stato di cose, là dove il giro di cavalli che vanno e vengono dalla scuderia, le competizioni alle quali si è obbligati a partecipare senza magari nemmeno avere una preparazione adeguata, l’uso indiscriminato di farmaci e la visione del cavallo come macchina sportiva senza un’anima e una personalità, la fanno da padrone.
Gli istruttori, peraltro, hanno paura che venga in qualche modo messo in pericolo l'equilibrio del proprio entourage da qualche allievo curioso o magari un po’ più consapevole e acculturato. Non parliamo del rapporto con i colleghi istruttori, assolutamente da evitare e isolare quelli di cui si conoscono le capacità e le competenze, pochi in verità, ma appunto che non devono entrare nella sfera dei propri allievi-clienti: si dovrebbero sopportare antipatici confronti per poi trovarsi anche a rendere conto del lavoro che i propri allievi vedono fare a questi istruttori, lavoro che è diverso dal loro.
Insomma, l’unica possibilità per un cavaliere che voglia aspirare a crescere e migliorare e imparare sempre di più, è quella di uscire dal mondo incantato del proprio centro ippico e cominciare a girare e informarsi e conoscere nuovi personaggi, nuove tendenze, nuove filosofie, oltre a leggere il più possibile le opere dei maestri del passato e, perché no, a confrontarsi in rete che per fortuna offre, in questo senso, una notevole via di fuga e di libertà, come per molte altre cose.
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