domenica 18 ottobre 2015

La cessione della mascella

Quando si parla di linguaggio degli aiuti, o scuola degli aiuti, ci si riferisce ai mezzi che ci permettono di comunicare con il cavallo quando siamo in sella, e cioè le gambe, le mani e l’assetto. Fra questi, l’aiuto più importante sono senza dubbio le mani, perché è attraverso le mani, e solo con esse, che si può equilibrare, decontrarre, flettere, guidare un cavallo, e soprattutto stabilire un vero e proprio dialogo con quella che è la sua parte più sensibile: la bocca.

La messa in mano, in equitazione ufficiale, convenzionale, è di fatto un limitarsi a tenere le mani ferme e basse, con una tensione costante sulle redini. Questo, però, già di per sé crea al cavallo una serie di problemi non da poco, essendo la lingua continuamente sotto pressione. Infatti, cosa alla quale nessuno pensa, la lingua si trova giusto sotto il cannone dell’imboccatura. Se è vero, come è vero, che l’unica azione possibile di una mano che rimane bassa è da avanti a indietro, questa tensione continua delle redini con mani basse fa sì che diversi chili per centimetro quadrato agiscano su questo organo, che è molto innervato e vascolarizzato. Se qualcuno si è morsicato la lingua almeno una volta nella vita, può immaginare cosa sente il cavallo in quel momento … il problema è che lui non ce lo dice, se non attraverso un “indurimento” della bocca, nei casi meno eclatanti, sensazione tipica che conosce bene chi monta a cavallo.

Ora, attraverso delle mani basse, l’unica cosa che si può fare è invitare, se non addirittura costringere, il cavallo, a cedere, cioè a dare la sua nuca. Fatto che spesso si traduce nell’incappucciamento, o iperflessione. Molti cavalieri vogliono, infatti, che il cavallo si incappucci, perché questo gli dà la sensazione che esso sia nella mano e sotto controllo. Sensazione falsa e molto pericolosa.


Messa in mano non corretta. Il cavallo è incappucciato.
La Scuola della Leggerezza propone una messa in mano che richiama principi espressi da François Robichon de La Guérinière (1688-1751) e da François Baucher (1796-1873), in particolare , quindi sul solco della tradizione classica francese. La genialità di Philippe Karl è essere riuscito a fondere questi principi in una sequenza di azioni, in un metodo, che risulta fruibile e applicabile da tutti. Non è un fatto scontato: se, ad esempio, volessimo leggere un testo di Baucher e applicarne direttamente sul nostro cavallo i contenuti, la cosa risulterebbe pressoché impossibile. Attraverso il lavoro di Karl, invece, ci ritroviamo ad utilizzare il meglio dei principi baucheristi e degli altri Maestri del passato, sfruttando una sequenza logica e comprensibile e, quel che è più importante, nel rispetto della natura del cavallo.

Un concetto fondamentale da sottolineare è che le mani si occupano solamente, e solo loro, del treno anteriore, di tutto ciò che succede a livello di bocca, testa, incollatura spalle. Quindi anche la direzione, che è in pratica il controllo delle spalle, è appannaggio esclusivamente delle mani, le gambe non giocano nessun ruolo. Così anche la flessione laterale dell’incollatura è richiesta unicamente con le mani, la gamba interna non è implicata. Rilevare o arrotondare l’incollatura, anche queste sono cose che riguardano le sole mani, le gambe non c’entrano.

L’unica imboccatura che garantisce un’azione diretta della mano sulla bocca è un filetto semplice, meglio se in due pezzi (un solo snodo). Agendo sulla commessura labiale, quindi verso l’alto, infatti, non viene offesa la lingua, che come abbiamo visto, è assolutamente da salvaguardare. Al contrario, qualsiasi altra imboccatura, come per esempio il morso, agisce sulla bocca del cavallo con una leva, e per quanto noi alziamo le mani è sempre sulla lingua che andiamo ad agire.

Questo non è un particolare da sottovalutare: la stragrande maggioranza dei problemi in equitazione scaturiscono proprio da una cattiva relazione della mano con la bocca del cavallo, e una mano che va da avanti a indietro, appunto, crea molti più problemi di quello che ci immaginiamo.

Il fatto stesso di agire sulla commessura labiale, poi, già di per sé è un incentivo per il cavallo a mobilizzare la mascella inferiore, che provoca quel “masticare”(termine improprio, ma che rende l’idea), quel movimento chiave di decontrazione della mascella, che a noi interessa.

Il primo effetto che dobbiamo produrre con la mano agendo sulla bocca del cavallo è infatti la cessione della mascella. Si comincia da terra, rimanendo davanti al cavallo, e si agisce verso l’alto, appunto sui lati della bocca, e ad ogni effetto positivo di mobilizzazione deve seguire una discesa di mano, un rilascio delle mani stesse verso il basso per spiegare al cavallo che quello che è stato fatto è corretto.

Cessione della mascella da terra


Cessione della mascella dalla sella, 
azione verso l'alto delle mani e successiva "discesa di mano"
Azione verso l'alto delle mani
Azione successiva, "discesa di mano"


venerdì 21 agosto 2015

Professore per un giorno


Il 29 aprile 2015, al Centro Ippico Villalta, nei pressi di Vicenza, dove risiedono attualmente i miei cavalli, ho avuto il piacere e l'onore di ricevere la visita della Prof. Francesca Martuzzi, insieme a un nutrito gruppo di studenti del 3° anno del curriculum in Scienze e Tecniche Equine del corso di laurea in Scienze Zootecniche e Tecnologie delle Produzioni Animali dell'Università degli Studi di Parma, nell'ambito di un'attività didattica pratica.

E' stata, per me, l'occasione per spiegare e mostrare la filosofia, i concetti fondamentali e i principi che si riferiscono alla Scuola della Leggerezza (Ecole de Lègèreté), ad un pubblico già competente in materia di cavalli e del mondo che gli gira intorno, nonostante la giovane età, un pubblico che costituisce il futuro (e il presente) delle attività equestri in Italia, considerando il piano di studi e l'interesse specifico verso l'animale cavallo che hanno questi giovani.


Durante la visita ho avuto modo di spiegare, tramite una lezione teorica, l'importanza di alcuni concetti fondamentali in seno alla Scuola della Leggerezza. Di seguito un riassunto della stessa:

"L'equitazione moderna è perfetta per fare durare il meno possibile un cavallo, soprattutto se è destinato alle competizioni. L'impiego di mezzi coercitivi, un uso degli aiuti (mani, gambe e assetto) incomprensibile per il cavallo, il fine che giustifica i mezzi, la ricerca del risultato immediato e la assoluta mancanza di riferimenti a scienze come l'etologia o la biomeccanica, per non parlare dei Maestri del passato completamente dimenticati, tutto ciò ha portato, nel tempo, ad un equitazione che non assolve più alla sua funzione, che è quella di migliorare il cavallo sotto ogni aspetto, fisico e mentale, ma che anzi abbrevia la vita sportiva del cavallo, in generale la sua vita attiva e, qualche volta, la sua vita stessa.
Di fronte ad un massacro silenzioso, di fronte a una macelleria equina che si nota poco perché poco viene diffuso al riguardo, di fronte a episodi eclatanti come quello del cavallo morto pochi mesi fa dopo una seduta di addestramento in un centro ippico di Roma, che sono solo la punta di un iceberg, ebbene, di fronte a tutto questo, esistono delle isole felici, dei punti fermi, dei baluardi di un'equitazione che possono avere un senso per il cavallo: uno di questi è una Scuola fondata dal Maestro francese Philippe Karl, nostro contemporaneo, ovvero la Scuola della Leggerezza, o Ecole de Légèreté.


Recuperando molti dei principi classici di Maestri del passato come La Guérinière, Baucher e L'Hotte, solo per citarne alcuni, e alla luce delle nuove (e vecchie) conoscenze di scienze come l'etologia, la psicologia, la biomeccanica, l'anatomia e la fisiologia, Karl ha creato un metodo, una progressione di lavoro che si adatta perfettamente a qualsiasi cavallo di qualsiasi età, razza e morfologia, rispettandone la natura e parlando il suo linguaggio.
Infatti, quello che veramente serve al cavallo è una comprensione del linguaggio degli aiuti, un linguaggio che si adatta alla natura del cavallo, in modo che l'equitazione diventi "difficile per il cavaliere ma facile per il cavallo" (Karl), un linguaggio dove mani e gambe, principalmente, vengono usate in modo indipendente ("Mani senza gambe, gambe senza mani", F. Baucher), e dove ogni azione è eseguita in modo tale che non ci siano fraintendimenti, e dove a ogni risposta positiva del cavallo ci sia una corrispondente cessazione dell'azione del cavaliere ("Agire e lasciar fare" Nuno Oliveira).


Dal punto di vista biomeccanico, è vero che il cavallo è un animale a trazione posteriore, ma è anche vero che è sul treno anteriore che deve essere concentrato il maggior interesse all'inizio dell'addestramento. Il cavallo porta i 2/3 del peso complessivo sulle spalle, carico aggravato dalla presenza del cavaliere in sella, e solo guidando le spalle noi possiamo gestire la direzione. Inoltre, l'incollatura è quella che determina i maggiori cambiamenti di equilibrio, con la sua mobilità e capacità di rilevarsi e di abbassarsi, oltre che di flettesi a destra e a sinistra. Controllando l'incollatura è possibile controllare l'equilibrio del cavallo, dunque. Alla fine dell'incollatura... c'è la bocca, ed è proprio questa che deve fare i conti con la nostra mano. Agendo su di essa in modo da determinare una cessione della mascella, ossia un movimento della mascella inferiore, la mandibola, si ottiene una decontrazione dei muscoli masticatori, e conseguentemente dei muscoli del collo. Questa decontrazione, che poi si propaga anche a livello di dorso e di arti posteriori, ci permette appunto di disporre dell'incollatura del cavallo, avendo facilità nelle flessioni laterali sia verso destra che verso sinistra, oltre che nel rilevarla o nell'abbassarla. Il tutto con un impiego della mano che agisce sempre verso l'alto (un impiego che successivamente ho avuto modo di mostrare lavorando un cavallo sia da terra che dalla sella sotto gli occhi dei presenti).
Dunque, gestendo l'incollatura, anche l'equilibrio del cavallo viene gestito facilmente. Inoltre, un frequente cambio della posizione dell'incollatura è elemento indispensabile per una vera ginnastica del cavallo: è impensabile infatti che la ginnastica si possa fare mantenendo l'incollatura in una determinata posizione (nell'equitazione moderna è molto gettonata la posizione bassa con naso dietro la verticale, fino al rollkur, che molti conoscono) per tutto il tempo del lavoro, come spesso avviene.

Il treno anteriore (bocca, incollatura, spalle), dunque, è controllato solo ed esclusivamente dalle mani (col contributo dell'assetto nelle transizioni), mentre le gambe, in una prima fase di lavoro, hanno solo ed esclusivamente il compito di produrre il movimento in avanti. Le gambe non devono essere utilizzate se non per questo: non devono aiutare nella direzione, non piegano il costato, non riequilibrano il cavallo nella curva, non fanno venire sotto i posteriori, non aiutano nè a rallentare, nè a fermarsi, nè ad andare indietro. Solo ed eslusivamente a chiedere il movimento in avanti. Se fossero usate per tutte le altre cose citate, perderebbero di valore, e il cavallo non le rispetterebbe più: quanti cavalieri sono alle prese con cavalli che non vogliono saperne di avanzare? Tantissimi, e uno dei motivi, il principale, è proprio questo.

Distinguendo bene l'azione e l'area di pertinenza delle mani da quella delle gambe, e non agendo mai con le une e con le altre nello stesso momento, siamo esattamente nell'idea baucherista: "Mani senza gambe, gambe senza mani".
In una fase successiva di lavoro, quando le flessioni laterali dell'incollatura per il cavallo sono chiare e semplici, l'estensione della stessa è confermata, la bocca rimane mobile e il contatto leggero, si può passare ad insegnare al cavallo il significato di una gamba isolata, singola, che dovrà portare il cavallo a rispondere portando le anche verso destra se a fare pressione è la gamba sinistra e, viceversa, portare le anche verso sinistra se a fare pressione è la gamba destra. In questo modo, combinando con le mani che già controllano le spalle, avremo la possibilità di ottenere tutta la gamma dei movimenti laterali (spalla in dentro, groppa in dentro, groppa in fuori, appoggiata), sia nel circolo che sulla linea dritta, fondamentali ancora una volta per la ginnastica del cavallo e la ricerca della rettitudine, cioè della simmetria."


Il lavoro alla corda classico, elemento fondamentale nell'addestramento del cavallo giovane, compendio utile per cavalli confermati, lavoro indispensabile per i cavalli problematici o difficili, e pratica di riscaldamento muscolare per tutti i cavalli, in particolari quelli anziani, è stato spiegato direttamente in campo, utilizzando allo scopo un capezzone spagnolo modificato (nasiera imbottita), una longhina normale e un frustone.
Attraverso continui cambi di direzione e di mano, alternando linee dritte e circoli, cambiando spesso andatura, con transizioni frequenti, facendo attenzione che la corda rimanesse sempre tesa, in modo da determinare una flessione dell'incollatura sempre verso l'interno (per l'equilibrio del cavallo nel circolo), andavo a spiegare tutti i benefici e i vantaggi che questo lavoro comporta, tanti, sia a livello di locomozione che a livello di rapporto cavallo-cavaliere.


Infine, come già detto, sono passato dalla teoria alla pratica mostrando direttamente sul campo, con un mio cavallo, il lavoro sull'estensione dell'incollatura e sulle flessioni laterali, l'utilizzo delle mani sia da terra che dalla sella, affinché il messaggio fosse più chiaro e tangibile.


La stessa dimostrazione è stata effettuata anche da una mia allieva con il suo cavallo, che ha mostrato anche del lavoro su due piste.


Una giornata in cui mi sono sentito un po' meno Istruttore e un po' più Professore, grazie all'attenzione e alla partecipazione di questi giovani laureandi universitari, certamente curiosi e mai banali nelle loro domande, che sono state tante, perfettamente coadiuvati dalla Professoressa, quella vera, Francesca Martuzzi, che ringrazio per la bella iniziativa.
Ad maiora!


venerdì 12 giugno 2015

La mezza fermata (nuova versione)

La messa in mano è il procedimento attraverso il quale determiniamo il migliore rapporto possibile fra la nostra mano e la bocca del cavallo, e con la quale possiamo influire sull’equilibrio del cavallo decidendo la posizione dell’incollatura (alta, bassa, destra, sinistra), oltre a permetterci di raggiungere decontrazione, stabilità dell’incollatura stessa, controllo e maneggevolezza. Essa comprende alcune procedure fra le quali spicca la mezza fermata.

In equitazione tradizionale la mezza fermata è un’azione contemporanea di mani, gambe e assetto. Serve a richiamare l’attenzione del cavallo in vista di una richiesta successiva, e dovrebbe riequilibrarlo facendogli portare i posteriori sotto di sé, e alleggerendo il treno anteriore.
Ma l’azione contemporanea di mani, gambe e assetto, lungi dal creare tutto questo, determina invece un irrigidimento muscolare ed uno squilibrio dovuti alla simultaneità di aiuti contradditori: le gambe spingono, le mani basse tengono, e spesso il cavaliere, facendo trazione sulle redini, spinge col bacino. Tutto questo non ha senso per il cavallo, che si sente tirare in bocca mentre gli viene chiesto, con gambe e bacino, di spingersi in avanti, cioè aiuti contradditori. Ciò provoca confusione, ansia, nervosismo, contrazione muscolare, ecc.

La mezza fermata classica è ben altra cosa. Ne parlò per primo François Robichon de La Guérinière (1688-1751), nel suo “Scuola di cavalleria” (ed.Siaec, 2002; trad. “Ecole de cavalerie”, Jacques Collombat, Paris, 1733) : “La mezza fermata è l’azione che si fa attirando la mano della briglia presso di sé, le unghie un po’ in alto, senza arrestare del tutto il Cavallo, ma soltanto trattenendo e sostenendo il davanti, quando egli si appoggia sul morso o quando si vuole ricondurlo (ramener) o riunirlo.(…) Se si appoggia troppo sulla mano, le mezze fermate devono essere più frequenti e marcate soltanto con la mano di briglia, senza alcun aiuto delle ginocchia né delle gambe; bisogna, al contrario, rilassare le cosce, altrimenti egli si abbandonerebbe ancor più sul davanti”.
Dunque nella mezza fermata classica, quella vera, originale, non quella rimaneggiata dalla scuola tedesca, è prevista l’azione delle sole mani, senza l’aiuto delle gambe né tantomeno dell’assetto.

Essa è principalmente utilizzata per alleggerire il cavallo alla mano. Capita spesso che il cavallo, per rifiutare la nostra mano, decida di appoggiarsi su di essa, a volte con piccole imbeccate, a volte con forza, a volte decidendo al tempo stesso di accelerare o, ancor peggio, scappare (per esempio, dopo un salto).
Quante volte si sente dire “quel cavallo è pesante”, oppure “mi distrugge le braccia”, da parte di persone che in verità permettono al cavallo di appesantirsi sulla mano, di appoggiarsi su di essa senza ritegno. Il fatto è che in quel momento lui va a cercare quella che in gergo viene chiamata “la quinta gamba”, cioè un appoggio sul davanti, come se le quattro gambe da sole non bastassero a sorreggerlo. Di fatto, in questi frangenti, il cavallo non è in equilibrio e, se non cade sul davanti, è solo perché ha innato lo spirito di conservazione e si trova non su due gambe ma appunto su quattro. Il che rende difficile riconoscere, da parte di chi è meno esperto, se il proprio cavallo in quel momento necessita di un cambio di equilibrio.

La mezza fermata prevede l’azione intermittente, a scatti, inizialmente dolce e poi sempre più intensa, delle due mani verso l’alto (in direzione del nostro viso, per intenderci). Deve essere subito seguita da una discesa di mano, cioè da un immediato rilascio delle mani stesse verso la bocca, che dà al cavallo una piacevole sensazione di libertà (praticamente un rinforzo positivo) ed è per il cavaliere la verifica che la mezza fermata è stata efficace e che il cavallo si sostiene da solo. Eventualmente si ripete l’operazione ogni volta che è necessario, fino a che il cavallo non decide di rimanere leggero continuando a mobilizzare la bocca.
La fotografia ritrae una mezza fermata al passo, richiesta ad un cavallo da me montato pochi minuti prima. Il cavallo aveva una spiccata tendenza ad appesantirsi sulla mano, rendendo difficoltoso il controllo, in particolare della direzione (che si ottiene guidando le spalle). Con mezze fermate ripetute, inizialmente molto energiche e poi sempre più dolci, sia sull’alt sia al passo e poi al trotto, il cavallo accettava di mantenere una posizione dell’incollatura più alta, rendendo così più facile la gestione (andature e direzione) e avendo anche la possibilità di rilassarsi perché, mobilizzando la bocca, rilassava tutta la muscolatura, decontraendo anche il dorso.

Si può utilizzare la mezza fermata a tutte le andature, ma generalmente si inizia spiegandolo al cavallo da fermo, specialmente se il cavallo è davvero pesante alla mano. Anzi, in questo caso conviene iniziare da terra e, mettendosi di fronte al cavallo, si esercita sulla bocca (tramite filetto) un’azione verso l’alto, esattamente come per la cessione della mascella, con la differenza che ora l’azione della mano non è progressiva ma a scatti, intermittente. Con alcuni cavalli la stessa cessione della mascella in verità non è possibile fino a che il cavallo non si alleggerisce e non porta la testa alta tanto quanto serve perché esso rimanga leggero in ogni circostanza.

La mezza fermata eseguita da terra è indispensabile, prima di montare, con i cavalli che si appoggiano eccessivamente sulla mano. Essa, in alcuni casi, risulta ancora più efficace se si chiedono, allo stesso tempo, dei passi indietro.

Con la mezza fermata io posso alzare la testa del cavallo, rilevare completamente l’incollatura e ottenere che il cavallo la mantenga tale in ogni circostanza ed a ogni andatura. Questa postura del cavallo, in equitazione tradizionale, è bandita, in quanto la testa alta produrrebbe rovesciamento della schiena con relativi problemi, il cavallo sarebbe impossibilitato a riunirsi e il controllo ne risulterebbe compromesso.
In realtà, quando il cavallo ha la tendenza ad andare molto sulla mano, ad appesantirsi - e magari è anche costruito in discesa, con il treno anteriore (spalle-incollatura) pesante, il garrese più basso della groppa - la testa alta non solo non è un male, non è un limite, ma anzi è un bene, è una soluzione, perché solo così quel tipo di cavallo è in equilibrio, è rilassato, sotto controllo, anzi, solo così un domani si potrà portarlo a eseguire i primi elementi di riunione. A seconda del tipo di cavallo, delle circostanze e del livello di lavoro, il periodo con la testa alta sarà più o meno prolungato, più o meno alternato a periodi con l’incollatura estesa. La scelta di questo, cioè il saper alternare posizione bassa e posizione alta dell’incollatura, trovando quella migliore in un determinato periodo del lavoro, dipende dall’esperienza e dalle capacità del cavaliere.

Concludendo, si può (e, spesso, si deve) intervenire con una mezza fermata, durante tutto il periodo che ci porta a conseguire una messa in mano corretta: per esempio mentre chiediamo una flessione laterale, oppure nel corso di quel lavoro che si chiama “azione-reazione”, dove, anche se chiediamo al cavallo di estendere l’incollatura, nondimeno in molti casi la mezza fermata è indispensabile per evitare che il cavallo esageri nell’andare verso il basso e nel trovare l’appoggio sulla mano.
Insomma, se un idraulico non può fare a meno della chiave inglese per il suo lavoro, anche se non gli capiterà di usarla sempre, così un cavaliere non può fare a meno della mezza fermata per l’addestramento del suo cavallo, fra i suoi strumenti di lavoro, anche se non ne avrà sempre bisogno.

sabato 7 marzo 2015

Video: "A cavallo di libri e dintorni" di Maria Lucia Galli

Il 3 febbraio 2015, sul canale Unire Tv, è andata in onda la puntata di "A cavallo di libri e dintorni", rubrica di Maria Lucia Galli, dedicata al libro "Derive del dressage moderno" di Philippe Karl, che il mio collega Franco Melpignano ed io abbiamo avuto l'onore e il piacere di presentare:


sabato 31 gennaio 2015

La scuola degli aiuti

Equitazione è comunicazione. Il problema principale, quando si monta a cavallo, è riuscire a comunicare con lui nel miglior modo possibile e farci comprendere. Gli aiuti (chiamati così perché aiutano il cavaliere a comunicare con il cavallo) principali sono le gambe, le mani e l’assetto.
Riguardo al loro uso, la Scuola della Leggerezza offre argomenti decisamente diversi da quelli che sono conosciuti nell’equitazione convenzionale. Vediamoli uno alla volta.

Le mani. In equitazione convenzionale le mani sono poco più che un accessorio, non vengono quasi mai prese in considerazione. L’unica cosa che devono fare è rimanere basse e ferme e possibilmente vicine fra di loro. Si chiede agli allievi di non usare mai le mani, se non per resistere, o comunque gli si chiede di non mettere mai nelle mani più forza di quella che si mette nelle gambe. Opinione condivisa e accettata più o meno da tutti, ma non dal cavallo, che vede nell’uso contemporaneo di mani e di gambe uno dei più grossi ostacoli all’apprendimento del linguaggio degli aiuti.Inoltre le mani tenute costantemente basse e ferme non possono fare altro che tirare, perché in questo caso l'unica azione che può essere effettuata è quella da avanti a indietro.
Le mani, nella Scuola della Leggerezza, sono l’aiuto principale, perché è con le mani che si può, nell’ordine, decontrarre la bocca del cavallo, flettere, alzargli o abbassargli l’incollatura, guidarlo, gestire il suo equilibrio, praticamente controllarlo. Veramente tante cose, e tutto questo a partire dal cavallo giovane, fino ad arrivare al cavallo perfettamente addestrato. Le mani fanno tutto da sole, appunto senza l’intervento contemporaneo delle gambe, perché ciò provoca incomprensione e ansia nel cavallo (e conseguenti difese).
Guidare il cavallo significa gestire l’equilibrio delle spalle. Il cavallo gira naturalmente portando il peso ora sulla spalla destra e ora sulla spalla sinistra. Questa alternanza di peso va gestita unicamente con redini d’appoggio e d’apertura, e non, per esempio, tirando la redine interna e cedendo con l’esterna. E nemmeno con l’apporto delle gambe, quindi, ma solo ed esclusivamente con le mani.
Inoltre, una delle preoccupazioni più grandi di un principiante, o di chi monta un cavallo giovane, è sapere come si ferma il cavallo, dove si trova … il freno! Preoccupazione che cessa di esistere nel momento in cui viene data al cavallo una educazione preliminare alla mano da terra (vedi foto).



Questa educazione preliminare comporta la conoscenza di alcuni concetti equestri, dimenticati, travisati, opportunamente ignorati, ecc., che rispondono a "cessione della mascella", "flessione laterale dell'incollatura", "estensione dell'incollatura", "mezza fermata", ed altri, la cui spiegazione nel dettaglio si può trovare nelle pagine di questo blog.



Le gambe. Nella Scuola della Leggerezza insegnare al cavallo a reagire immediatamente alle gambe andando in avanti è l’unico obiettivo da perseguire, ad inizio addestramento. Le gambe, per il cavallo, non sono un aiuto naturale, nel senso che per lui non hanno alcun significato: se si monta un cavallo giovane, che porta appena il cavaliere sulla sua schiena, quando si usano le gambe esso non reagisce andando in avanti ma contraendosi. Le gambe acquistano un senso nel momento in cui si associa ad esse un aiuto più efficace e certamente naturale per lui: la frusta. Allora le gambe acquistano un significato, diventano un codice, una convenzione, ma deve essere chiaro che la frusta deve venire usata nel modo giusto … anche su questo punto rimando alla lettura de "L'impulso" e de "La lezione alla gamba", dove spiego i procedimenti nel dettaglio.
Si possono dunque considerare le gambe un aiuto non naturale, ma artificiale. Peraltro, occorre sottolineare come gli aiuti mani e gambe debbano venire usati distintamente fra di loro, mai insieme, contemporaneamente. E’ noto il motto “Mani senza gambe, gambe senza mani” di Francois Baucher (1796-1874), che si riferisce proprio a questo.
Al contrario, in equitazione convenzionale, le gambe intervengono in moltissime situazioni, e quasi sempre contemporaneamente ad un uso improprio delle mani. Per esempio, per mandare avanti il cavallo, per mantenere il movimento, per girare, per flettere il costato (e l’incollatura), per rallentare, per fermarsi,e anche per andare indietro. Un uso continuo delle gambe e delle mani allo stesso tempo, in tutte queste situazioni, desensibilizza il cavallo alle gambe stesse, alle quali quindi non reagirà più: si vedono in giro tanti cavalli apparentemente pigri, indolenti, senza impulso, ma che hanno in verità solo bisogno di comprendere bene il significato delle gambe, cosa impossibile in queste condizioni.

L’assetto. Esso è considerato l’aiuto più importante, in equitazione convenzionale. In essa, infatti, ha un ruolo importantissimo in tutto quello che si fa a cavallo, come nella mezza fermata, come nello spingere il cavallo in avanti, come addirittura nella richiesta di impegnare i posteriori. Spesso gli istruttori, quando le cose non vanno bene, il cavallo non risponde, il lavoro è un disastro, si rifugiano dietro un “Ti manca l’assetto!”o “Devi migliorare il tuo assetto!”, non sapendo che altro dire. In realtà è l’uso delle mani (più spesso) e/o delle gambe che deve cambiare!
Per la Scuola della Leggerezza l’assetto, inteso come l’equilibrio del cavaliere che influisce su quello del cavallo, non può fare altro che accordarsi con il movimento del cavallo. Il cavaliere porta il peso nella direzione del movimento, dunque, per esempio, se si deve girare a destra il peso va a destra; se si deve accelerare, l’equilibrio del cavaliere, in particolare le spalle, si spostano in avanti e se deve rallentare o fermarsi, al contrario, si spostano indietro.
L’importanza dell’assetto sta soprattutto nel considerare il raggiungimento dell’equilibrio del cavaliere in sella come indispensabile per avere la possibilità di utilizzare gli altri aiuti, le mani e le gambe (o la frusta), nel modo più corretto possibile: se il cavaliere deve attaccarsi alle redini o serrare le gambe sul cavallo per rimanere in equilibrio, questo non è indicativo certamente di un assetto corretto, né di indipendenza degli aiuti. Questo equilibrio in sella, se il lavoro è fatto correttamente, viene raggiunto in cinque o al massimo dieci lezioni di equitazione.



La scuola degli aiuti, dunque, è l'insegnare al cavallo il linguaggio degli aiuti, linguaggio che deve però adeguarsi alla natura dal cavallo, alla sua psicologia, alle leggi dell'equilibrio e della biomeccanica. Non tenere conto di questo significa forzare il cavallo, spingere lui a doversi adattare a noi, alla nostra fretta e alla nostra ansia di ottenere tutto e subito, attraverso appunto un uso improprio degli aiuti, per non dire costrittivo o addirittura violento. "Si può giudicare il valore di un addestramento dall'efficacia dei suoi risultati, ma anche dalla qualità dei mezzi messi in opera ... poiché questi possono andare dall'apprendimento ludico alla coercizione, o addirittura alla brutalità o alla crudeltà" (Philippe Karl).








martedì 13 gennaio 2015

La lezione alla gamba

Un articolo scritto per il Gruppo Italiano Ecole de Légèreté che riporto qui volentieri: www.gruppoitalianoecoledelegerete.it
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