domenica 2 ottobre 2011

L'impegno dei posteriori

Una preoccupazione comune e costante di istruttori e cavalieri nel lavoro del cavallo è il fatto che il cavallo impegni i posteriori o, come qualcuno dice, "ingaggi" i posteriori. "Il cavallo è un animale a trazione posteriore" è il ritornello di chi afferma che occorre badare a questi anzichè preoccuparsi troppo del davanti, della parte anteriore. In definitiva, puoi montare come vuoi, ma se il cavallo impegna i posteriori sotto alla massa, allora stai facendo della buona equitazione, sei uno che è attento al lavoro del tuo cavallo.
I mezzi per ottenerlo sono noti: spingere con le gambe su mani che si oppongono, avere sempre gambe attive affinché questi posteriori lavorino e si "portino sotto", non soffermarsi sulla mano ma pensare a un assetto che faccia "ingaggiare" i posteriori (cosiddetto "assetto ingaggiante").

In realtà il vero problema è che, salvo che in alcune specifiche situazioni (quando il lavoro è già molto avanzato), il cavallo non impegna mai i posteriori, almeno non nel senso che si intende normalmente, cioè abbassando le anche, e portando entrambi i posteriori, destro e sinistro, sotto la massa,  insieme.

Dobbiamo infatti distinguere due tipi di impegno dei posteriori:
1) il cavallo avanza, ad esempio al trotto, con un posteriore e con l'altro spinge indietro, e tanto più avanza sotto la massa con un posteriore tanto più con l'altro spinge e si allontana dalla massa stessa.
2) Il cavallo avanza sotto la massa con entrambi i posteriori abbassando le anche e flettendo le articolazioni (garretto, ginocchio, ecc.).

Prendiamo in esame il primo caso.
Se il cavallo trotta molto in avanti, un posteriore verrà molto sotto la massa, si impegnerà tanto, mentre l'altro si allontanerà molto, per spingere, ossia si disimpegnerà tanto. Vedi il caso estremo del trottatore da corsa, che porta veramente tanto i posteriori, uno alla volta, sotto di sè, al punto che se uno di loro non ha i cosiddetti "passaggi" viene scartato. Ma questo stesso cavallo, allontana da sè tantissimo i posteriori, uno alla volta, per spingersi in avanti.
Quindi non si può certamente dire che il cavallo, quando è in avanti "porti sotto i posteriori", ma si parla di un impegno alternato di essi. Il cavallo non si riunisce, no di certo, e questo è palese.
Se il cavallo, caso opposto, esegue un trotto riunito, cosa succede? Abbassa le anche, porta entrambi i posteriori sotto di sè? No, non è ancora possibile. Finché il cavallo ha un movimento in avanti, anche se poco, non è nella condizione di abbassare le anche. Per giunta, il cavallo che sta eseguendo un trotto riunito, avanzerà con i posteriori molto meno che il trottatore di cui sopra preso a esempio, cioé quando uno dei due posteriori si porta sotto la massa lo fa pochissimo, e altrettanto pochissimo spinge dietro di sè, cioé disimpegna pochissimo. Questo cavallo porta pochissimo avanti i posteriori perché spinge più verso l'alto che in avanti e questo determina un trotto riunito. Addirittura nel passage, che è una delle massime manifestazioni di trotto riunito, in molti casi i posteriori si allontanano dal cavallo, cioé disimpegnano più di quello che impegnano.

A questo punto la domanda è: può un cavallo avanzare molto e nello stesso tempo portare entrambi i posteriori sotto come nel secondo caso? La risposta è no, non può farlo, una cosa esclude l'altra, avanzare molto e determinare un maggiore impegno dei posteriori (entrambi) è impossibile.

Allora in quale circostanza il cavallo porta sotto di sè entrambi i posteriori, abbassando le anche? Solo in determinate e precise situazioni: nel piaffer, nella pirouette al galoppo, nella pesade e levade, o quando va indietro come nei passi indietro ben eseguiti, in particolare nei passi indietro riuniti. In tutti questi casi il cavallo abbassa le anche, o almeno dovrebbe farlo, se queste arie sono ben eseguite.

Si capisce bene allora perché è assurdo parlare di riunione come di cavallo sulle anche, di impegno costante dei posteriori, di "ingaggio", come sono assurde le pretese di tanti istruttori e addestratori che vogliono il cavallo riunito, sempre sulle anche, sempre sui posteriori, sempre "ingaggiati".
La cosa che invece è degna di considerazione e sulla quale occorre fare attenzione è un'attività dei posteriori. Questa attività però si può estendere all'attività del cavallo, che deve essere sempre presente, ossia il cavallo deve sempre mostrare, insieme alla decontrazione e alla calma, una prontezza nel rispondere alla richiesta delle gambe del cavaliere, richiesta che deve essere soddisfatta per avanzare e non per altri scopi...non certo per far venire i posteriori sotto alla massa!
Venendo meno questa prontezza  nel rispondere alle gambe, cioé la leggerezza alle gambe, può venire meno anche una leggerezza alla mano, perché viene meno una leggerezza generale.

E qui conviene soffermarsi un attimo. E' convinzione comune che la leggerezza del treno anteriore si raggiunga quando il cavallo venga impegnato di più con le gambe in modo tale che, portandosi sotto con i posteriori, riequilibri sè stesso e dunque si alleggerisca alla mano. In realtà il modo migliore, e l'unico per alleggerire un cavallo alla mano è e rimane sempre la cessione della mascella e la mezza fermata. Esistono però dei casi dove il cavallo è pigro, indolente, passivo, e ha la tendenza a lasciarsi andare sulla mano del cavaliere o a fermare la bocca: questo tipo di cavallo lo fa anche perché non è pronto a rispondere in avanti alla richiesta delle gambe. Ecco che allora alleggerire il cavallo alle gambe, per esempio con una lezione alle gambe o alla gamba isolata, favorisce una maggiore attività e scongiura anche la possibilità che il cavallo rimanga appoggiato alla mano o duro di bocca.

L'ossessione dell'impegno dei posteriori sotto alla massa del cavallo porta con sè nefaste conseguenze nel lavoro dei cavalli. Gli addestratori e gli istruttori che si preoccupano di questo, montano e fanno montare i cavalli sempre fra mani e gambe, sempre sotto pressione, e ciò porta a una equitazione basata sulla forza e sulla coercizione, venendo incoraggiato l'uso di mezzi ausiliari sempre più fantasiosi e distruttivi per il cavallo (uno per tutti: il famoso "ingaggio Pessoa" per lavorare i cavalli alla corda). Risultato: cavalli contratti, fuori equilibrio, psicologicamente alienati e frustrati.
Un esempio di come premesse sbagliate possono portare a un'equitazione sbagliata.

giovedì 8 settembre 2011

Report da Pegestorf

Il paesino, Pegestorf (70 km. a sud di Hannover), è incantevole, sembra di essere nel mondo delle fiabe. La struttura dove sono scuderizzati i cavalli non è grandissima ma non c'è un filo di paglia fuori posto e il maneggio coperto è un salotto, il terreno tirato e bagnato ogni giorno con estrema cura.
Come tradizionalmente accade agli stage di Philippe Karl, otto cavalieri presenti e molti uditori ad assistere, molti di più di quelli che ci sono normalmente in Italia. Il sabato le tribune erano piene e si contavano almeno cinquanta persone.
Di questi otto cavalieri, quattro già istruttori della Scuola della Leggerezza, e altri quattro che avevano iniziato il Corso da poco.

Il lavoro più spettacolare è stato quello di Christiane Horstmann, che ha montato uno stallone lusitano grigio di 11 anni, già passato per le mani di diversi cavalieri in Sudamerica senza combinare molto e che poi è arrivato nelle scuderie di Klaus Balkenhol, un ex cavaliere di dressage tedesco (molto rappresentativo, già ct della squadra tedesca)  che lo ha dato da montare alla figlia, non riuscendo a farne un cavallo da Grand Prix. Infine è arrivato a Christiane, che dopo due anni di lavoro con Karl ha portato questo cavallo a nuova vita, fino a eseguire un piaffer che nell'occasione ha strappato addirittura applausi dalla tribuna.
Più difficile il passage: curiosamente il cavallo ha così l'ossessione di impegnare i posteriori, essendogli stato in passato insegnato a farlo con la forza, che il cavallo eseguiva un piaffer avanzando, anzichè andare in passage (che invece richiede un...disimpegno dei posteriori). Il terzo giorno, dopo un approccio di preparazione con la jambette, e tenendo l'incollatura molto alta, il cavallo ha dato qualche tempo di passage. Molto bello.

Interessante anche il lavoro sulla riunione di Peter Assmann, con il suo Moreno, un castrone baio 17enne, spagnolo non puro, non grande e dalle andature modeste, certamente un cavallo difficile, delicato, anche come temperamento.
Nel piaffer, già buono, è stato aiutato da terra da Karl per ottenere un abbassamento ulteriore delle anche: con delicati tocchi di frusta alla base della coda, il maestro otteneva un maggior impegno dei posteriori da parte del cavallo. Poi è stata la volta di Peter, il quale ha chiesto lui stesso la stessa cosa nel lavoro a mano. Questo procedimento è solo un aiuto per perfezionare un piaffer ottenuto nella maniera classica, con transizioni, passi indietro, ecc. e non si sostituisce ad esso.
Purtroppo è uso comune oggi chiedere il piaffer battendo la frusta sulla groppa con qualcuno davanti che tiene il cavallo, qualcuno dietro che impedisce di arretrare e il cavaliere in sella che dà di speroni...praticamente quattro persone per ottenere qualcosa che il più delle volte è una ribellione del cavallo e nella migliore delle ipotesi un piaffer sulle spalle e contratto.

Ecco poi Nina, una giovane amazzone allieva di Sabine Mosen (istruttrice SdL e organizzatrice dello stage), che ha montato un piccolo haflinger di 13 anni, con qualche problema di messa in mano il primo giorno, ma che nell'ultimo ha esibito anche lui un insospettabile piaffer. Tanto che lo stesso Karl ha commentato: "Questo cavallo deve avere qualche parente lipizzano".
La verità, lo sappiamo tutti, è che con questo lavoro Karl e i suoi allievi possono portare un cavallo che non ha di base le qualità per fare dell'alta scuola, al massimo livello di lavoro in piano.

A proposito di messa in mano, in due o tre casi si sono visti il primo giorno cavalli in un bell'atteggiamento, rotondi (nessuno incappucciato!), ma che non manifestavano una decontrazione e un equilibrio sufficienti. Prima di ogni altra cosa Karl li faceva lavorare con transizioni, mezze fermate, cessioni della mascella, anche con un certo rilevamento dell'incollatura, con discese di mano frequenti. Una volta migliorata la situazione si procedeva a un  lavoro via via più impegnativo.

Un altro cavallo non semplice era il trakehner di Anna Weichert, castrone baio di 7 anni, veramente insanguato, delicato, e con la tendenza a rovesciare l'incollatura tutto il tempo. Il lavoro di azione-reazione (mani verso l'alto che tendono le redini e portano il cavallo a fare altrettanto verso il basso e l'avanti) era la cosa principale, se non l'unica cosa messa in pratica da Anna. Anche nel lavoro su due piste e nei passi indietro era richiesto al cavallo di tendersi.
In particolare nei passi indietro la difficoltà consiste nell'insegnare a un cavallo di questo tipo ad andare indietro abbassando l'incollatura, che di per sè è un non-senso. Questo è possibile facendo eseguire i passi indietro da terra, nel lavoro a mano, aiutandosi davanti con la bacchetta e nello stesso tempo chiedendo azione-reazione sul filetto. Una volta in sella, con gambe arretrate (senza pressione!), busto leggermente in avanti e un tocco di bacchetta sul petto, chiedendo l'estensione dell'incollatura, si può andare indietro senza problemi e senza che il cavallo rovesci l'incollatura, si inselli, e così via.

Nel complesso tre giornate di stage che, come sempre quando si vede Philippe Karl all'opera, lasciano in chi guarda un bagaglio di aspetti tecnici e di sensazioni positive da portare a casa e da tenere gelosamente custodito.

giovedì 11 agosto 2011

Lo scandalo di Lexington

Campionati del Mondo di Lexington, nel Dressage Adelinde Cornelissen, durante il Grand Prix valevole per la gara a squadre, si presenta in rettangolo con il suo Parzival. Ecco una cronaca dell'evento:

"...disavventura capitata ad Adelinde Cornelissen: durante la sua ripresa l’amazzone olandese è stata fermata dalla giuria e quindi eliminata quando il suo cavallo Jerich Parzival ha cominciato a sanguinare dalla bocca.
In realtà nulla di grave: “Il cavallo si è semplicemente morso la lingua”, ha spiegato poi Adelinde Cornelissen, “e ha smesso di sanguinare già sulla via della scuderia. Sono molto dispiaciuta ovviamente, ma allo stesso tempo felice che nulla di grave sia accaduto a Parzival.
Diciamo però che nella mia vita ho vissuto giorni migliori!”, ha chiuso l’olandese dando prova di grande sportività e senso dell’umorismo. Stephen Clarke, presidente della giuria, ha detto: “Probabilmente il peggior momento della mia carriera di giudice. Ero così sconvolto dopo aver dovuto prendere una decisione del genere che ho pensato di avere un secondo infarto”, ha scherzato il britannico riferendosi a sua volta con grande senso dell’humour all’attacco di cuore – vero – di cui rimase vittima qualche tempo fa.
“Adelinde Cornelissen è stata meravigliosa, si è comportata da vera professionista”, ha continuato Clarke, “nonostante una cosa del genere si sia presentata come una specie di devastante fulmine a ciel sereno”. Wojtek Markowski, polacco, delegato tecnico della Fei, ha spiegato: “La regola è chiara, ed è stata scritta e stabilita per garantire il benessere dei cavalli: il sanguinamento dalla bocca, per qualunque ragione e in qualunque misura, determina l’eliminazione”. Quindi tutto il peso del mondiale a quel punto è finito sule spalle del secondo binomio olandese della giornata: Edward Gal e Totilas..."

E' passato quasi un anno da questo evento, ma vorrei fare delle considerazioni che ritengo ancora attuali.

Un cavallo che sanguina dalla bocca non è così normale come le cronache (come quella di cui sopra) vogliono farci immaginare. Non ho mai visto un cavallo che si morsica la lingua fino a farla sanguinare...in natura, nei giochi coi compagni ,quando mangia, anche quando ha una discussione con un suo simile questo non succede mai. Nemmeno quando è montato succede, ma qui subentrano ben altri meccanismi. L'imboccatura appoggia sulla lingua, e la quasi totalità dei problemi che i cavalli hanno con le mani del cavaliere dipende da questo apparentemente insignificante particolare: tutti si preoccupano di non offendere le barre, quando è invece della lingua che bisogna preoccuparsi. Organo molto innervato e vascolarizzato, quando la mano del cavaliere agisce andando da avanti a indietro, o semplicemente resistendo con un contatto duro, per il cavallo sono dolori, e grossi. Lui non urla, non guaisce, non impreca, al massimo serra la bocca, e questo sembra anche una buona cosa, ma in verità oltre il 90 % delle difese del cavallo deriva proprio dal dolore generato dall'imboccatura sulla lingua.

Quando questo tirare sulla bocca e sulla lingua diventa sistematico, metodico, continuo, ossessivo e terribilmente duro ecco che si arriva all'inimmaginabile. Dopo lo scandalo delle "lingue blu" di qualche anno fa, a causa di alcuni video apparsi su You Tube che destarono sensazione, tanto da provocare l'indignazione di una buona parte del pubblico del Dressage internazionale, ecco in diretta mondiale uno scandalo peggiore, che si è tentato subito di minimizzare, di banalizzare, al punto da inventare la barzelletta del cavallo che si morde accidentalmente la lingua.
In effetti di scandalo non è sembrato trattarsi, i media sull'argomento hanno glissato parecchio pur non potendo non raccontare il fatto ma, ingenuamente o subdolamente, non si è portata l'attenzione sulla cosa più evidente di tutta questa faccenda, e cioè che la Cornelissen ha esagerato in campo prova ed è riuscita a spaccare la lingua di quel povero cavallo, quand'anche non l'avesse fatto nei giorni precedenti. Incappucciamento sistematico, tensione prolungata di morso e filetto, seghettamenti vari, redini fisse alla corda o nel box, e il gioco è fatto.
Un fatto che in certi ambienti della monta western, oppure della cosiddetta Alta Scuola Spagnola, si verifica spesso. Alcuni quarter horse "addestrati" con sistemi poco ortodossi e certi andalusi che vengono dalla Spagna (e non solo) presentano tagli terribili sulla lingua, quando non addirittura la lingua mozzata...
Il Dressage dovrebbe essere la specialità per eccellenza che, preservando i princìpi classici equestri, dovrebbe preservare anche la salute e il benessere dei cavalli, e quindi anche queste cose (si veda l'"Happy Horse" della Fei). Chiedere a Parzival a questo proposito. Ovviamente, si tratta della fiera dell'ipocrisia.

Ma non è finita qui. Recentemente la Commissione Fei del Dressage sta approvando, se già non l'ha fatto, una variazione al Regolamento secondo la quale, se il Presidente di Giuria dovesse ravvisare la presenza di sangue in bocca al cavallo, come appunto è successo a Lexington, all'ingresso in campo gara, in realtà non si tratta più di squalifica, ma si rimanda il cavallo in campo prova e, dopo accurata visita veterinaria, se il veterinario dà l'ok, questo può tornare in campo gara come se nulla fosse successo.
Vergogna!

In effetti al signor Stephen Clarke stava venendo un secondo infarto non perchè ha visto del sangue, cosa che sarebbe umanamente comprensibile per chi ha a cuore la salute del cavallo, ma perchè è stato costretto a squalificare una concorrente che a tavolino probabilmente avevano già deciso che sarebbe salita sul podio!
Avesse potuto fare finta di niente lo avrebbe fatto, così come fanno normalmente i Giudici quando vedono in rettangolo cavalli incappucciati, tirati in bocca, spolpati ai fianchi dagli speroni, che fanno passo ambiando e piaffer sulle spalle, e nonostante ciò continuano a dare gli otto e i nove.

Il Dressage moderno sta tentando di salvare la faccia e di rifarsi il trucco con fenomeni mediatici come Totilas, un cavallo, anche lui vittima del sistema, che è servito per ridare slancio e credibilità a una disciplina che non ne ha più.
Ma finchè accadono questi episodi c'è poca speranza.

domenica 17 luglio 2011

La comprensione degli aiuti

Quando termino il lavoro quotidiano con il mio cavallo, lui esce dal campo rilassato, perché ha una buona condizione fisica, perché ha lavorato decontratto, perché si è impegnato fisicamente ma soprattutto mentalmente. Non dico che sia fresco come una rosa come quando ha cominciato (dipende anche da quello che faccio) ma certamente l'aria è quella di chi ha passato una mezz'ora o un'ora piacevolmente.
Questo capita anche ai miei allievi, ovvero ai loro cavalli, almeno alla maggior parte.

Chi vede questi cavalli dopo il lavoro pensa che, obiettivamente, quello che fanno non può essere così impegnativo, e comunque si tratta di cose fatte all'acqua di rose, giusto per passare il tempo. L'aria rilassata non si addice a un cavallo che ha dato il meglio di sè e si è impegnato a fondo nel lavoro, che sia in piano o sui salti, è questa l'idea di fondo. Eppure morfologicamente questi cavalli diventano, anno dopo anno, sempre più belli. E, fortunatamente, sempre più bravi.
In effetti l'equitazione moderna, sportiva in particolare, richiede un lavoro muscolare basato su un notevole chilometraggio ad andature sostenute, per potere fiaccare le resistenze del cavallo, poter avere un certo controllo, e anche una collaborazione che spesso all'inizio non c'è finché il cavallo è fresco fisicamente. Insomma l'idea è che comunque se, alla fine del lavoro, il cavallo schiuma, ansima, ha gli occhi fuori delle orbite e le narici dilatate, significa che il lavoro stesso ha dato i suoi frutti... o dovrà darli.

Molti miei colleghi istruttori (e i loro allievi) sono in effetti convinti che quello che faccio e faccio fare ai miei allievi in un certo senso non sia vera equitazione, perché non si notano nei nostri cavalli questo tipo di sforzi, di contrazioni fisiche muscolari (considerate da loro positive), di vera e propria ansia nell'espressione.

Si è completamente perso di vista il fatto che l'equitazione è una successione di elementi da apprendere da parte del cavallo, cominciando dal linguaggio degli aiuti, cioé il significato della mano (cessione della mascella, mezza fermata, azione-reazione, ecc.), e quello delle gambe (con l'aiuto della frusta, risposta in avanti immediata alla loro pressione leggera). Prime lettere dell'alfabeto che danno luogo a elementi più complessi, come la parola (transizioni semplici, lavoro su due piste) e la frase (cambi di galoppo, transizioni complesse, riunione). Niente di muscolare, di fisicamente probante, con ripetizioni ossessive di esercizi e trottate e galoppate estenuanti. Solo una comprensione chiara di quello che gli si chiede, perfezionando la comunicazione attraverso un linguaggio il più possibile "equino".

Per esempio, se il mio cavallo non flette l'incollatura a destra ed io mi metto a trottare nel circolo a mano destra mezz'ora o più, con la gamba destra alla cinghia che spinge e la mano destra bassa e fissa che "resiste", faccio un lavoro di ripetizioni ossessive di circoli, di estenuante pseudo-ginnastica, di endurance da maneggio, il tutto per portare il "malvolenteroso" cavallo a concedere questa maledetta flessione dell'incollatura tanto agognata.
Ma se io, con lo stesso cavallo, agisco sulla sua bocca dal basso verso l'alto con la redine interna (per non agire da avanti a indietro sulla lingua, organo sensibile che, se schiacciato, genera dolore), e faccio questo prima da fermo, poi al passo e poi al trotto (magari avendogli spiegato il significato della mano da terra), senza usare assolutamente la gamba interna (che per il cavallo non ha significato finché non gliene si dà uno), arrivo a ottenere un risultato migliore senza sprecare energie fisiche e nervose, senza fare trentamila circoli al trotto, senza aver bisogno di chiudibocca, redini di ritorno e quant'altro.

Non è l'esercizio (circolo a mano destra al trotto di lavoro, come in questo caso) che porta il cavallo a dare la flessione a destra, ma è la comprensione della mano del cavaliere che lo porta docilmente e senza sforzo, oltre che senza battaglie, a questo.

Si dimentica che il cavallo ha un cervello, e apprende allo stesso modo di un bambino che a scuola dispone un/una maestro/a paziente che spiega, corregge, ricompensa, andando dal facile al difficile, dal semplice al complicato. L'idea generale invece è che il cavallo debba fare questo, debba fare quello ("il cavallo DEVE", quante volte si sente questo), non importa come, basta che lo faccia. L'insegnamento generalmente viene portato avanti come se al bambino di cui sopra gli si insegnasse l'alfabeto e le prime parole a suon di bacchettate sulla schiena, legandolo alla sedia e imbavagliandolo.

Tutto ciò è anche il risultato di un'equitazione che vede nella competizione la sua massima espressione (di per sè non una cosa negativa), là dove la competizione stessa, nel corso di almeno un secolo, ha portato progressivamente i cavalieri alla logica del fine che giustifica i mezzi, non importa quali essi siano. Inoltre ha creato una subcultura che richiede meno conoscenza dei metodi più logici e naturali per addestrare un cavallo che ci hanno tramandato i grandi uomini di cavalli del passato, e invece una conoscenza sempre più approfondita delle imboccature e delle redini ausiliarie di tutti i tipi, dei prodotti  farmacologici, e dei trucchi più scellerati per obbligare i cavalli a fare qualcosa che ormai loro non vogliono più fare.

venerdì 15 aprile 2011

Il segno dei tempi

Un concorso ippico, un percorso di salto ostacoli, il cavallo che prende la mano, l’amazzone che cerca disperatamente di controllarlo, lui che parte un tempo prima, lei appesa, lui che cade dentro un largo, lei espulsa con veemenza dalla sella, entrambi a terra, barriere e pilieri da tutte le parti, lei si rialza, lui no. Il cavallo ha battuto la testa e ha rotto l’osso del collo. Il cavallo è morto.

Una scena inconsueta ma non per questo priva di gravità, una scena terribile raccontata dalla penna di Umberto Martuscelli, da un articolo su “Cavallo Sport”(Febbraio 2011). Che continua così:

“…saltare un ostacolo può essere pericoloso. Per il cavaliere, per il cavallo.
Con una differenza, però: il cavallo non sceglie di saltare, lui lo fa perché noi lo induciamo a farlo. Ecco perché nei suoi confronti il rispetto di tutti noi esseri umani deve essere centuplicato: vedere un cavallo a terra morto perché un salto o un insieme di salti non sono stati affrontati nel modo giusto (giusto per il cavallo e giusto anche per il cavaliere, s’intende: che la scena sopra descritta per un nulla non è terminata con una doppia tragedia… ) è un atto di accusa che si ritorce contro di noi con una violenza perfino superiore a quella che ha spaccato il collo di quel povero animale.
Contro di noi e contro la nostra fretta, contro la nostra smania di accelerare tutto, di far fare cose a chi non è in grado di farle, contro la follia di un sistema che vuole alterare qualunque naturale equilibrio in nome del dio denaro e contro tutti quelli che questo sistema fanno vivere senza scrupoli o forse solo senza coscienza, senza competenza, senza intelligenza, istruttori che non sanno insegnare, genitori che non sanno educare, dirigenti che non sanno dirigere, ragazzi che non sanno pensare, contro tutto questo si è scagliata la violenza della morte di quel povero cavallo: lui a terra, morto, immobile, la sua vita finita e noi qui, a scrivere per raccontare la sua morte.
Una cosa deve essere chiara: montare bene non è facile, ma montare bene è la prima forma di rispetto nei confronti del cavallo e anche la prima forma di autotutela nei confronti di spiacevoli incidenti.
Non tutti possono montare bene: ma tutti dovrebbero essere in grado di capire se una certa cosa si è in grado di farla oppure no. O al più essere affiancati da qualcuno che sia in grado di capirlo. Ma di capirlo veramente.”

Già, montare bene. A questo proposito ancora un estratto da un altro suo articolo che potrebbe essere la continuazione naturale di questo (Cavallo Sport, 2010):

“…oggi un allievo non finisce la prima ora di lezione alla corda che già gli si compra la giacca da gara… Il drammatico equivoco di fondo oggi è questo. Oggi si intende moderno e al passo con i tempi parlare di cose senza considerarne le premesse. In sostanza: è del tutto inutile preoccuparsi di linee, distanze, imboccature, redini e controredini se il mio allievo non sta in sella.
E’ più importante il numero di passi all’interno di una dirittura o la giusta inforcatura? E’ più importante scegliere l’imboccatura o saperla usare? Dobbiamo ammetterlo: oggi in Italia i ragazzi montano mediamente male. A livello proprio di base, a livello elementare.
Ma siccome il mercato impone le sue regole – i centri devono aumentare il numero di patentati, i concorsi il numero degli iscritti, i commercianti quello dei cavalli venduti, i trainer privati quello dei cosiddetti clienti, e via discorrendo – ecco allora che bisogna accelerare.
Accelerare tutto: un ragazzo va in concorso prima ancora di capire cosa è l’equitazione, compra un cavallo prima ancora di capire quanto costa, passa al livello superiore prima ancora di aver vinto qualcosa a quello inferiore, diventa a sua volta istruttore prima ancora di aver imparato qualcosa…
Questa è la realtà. E l’effetto purtroppo è sotto gli occhi di tutti. Parlare del giusto assetto e del tallone basso e della corretta inforcatura non vuol dire essere vecchi e antiquati e polverosi e rimbambiti: vuol dire al contrario parlare di qualcosa che serve per montare meglio e – quindi – per ottenere migliori risultati.
Tecnica non vuol solo dire “ho fatto sei tempi invece di sette”: vuol dire prima di tutto essersi impadroniti degli strumenti giusti. Ma prima quello che viene prima, e dopo quello che viene dopo…”

E’ bello che queste parole vengano da un profondo conoscitore degli sport equestri e del salto ostacoli nazionale e internazionale come Umberto Martuscelli, giornalista di dichiarata fama, speaker ufficiale dei più grandi eventi equestri che si svolgono in Italia.
E’ bello perché si tratta di qualcuno che vive dentro alle problematiche di questo sport, che vive delle cose di questo sport, ma è qualcuno che si mette una mano sulla coscienza e pensa seriamente a quanto di malato c’è in questo “sistema”,con le sue regole, i suoi tempi, le sue logiche, che non sono per niente le regole, i tempi, le logiche dei cavalli e della qualità dell’insegnamento e dell’addestramento.

Perché non si sa più quali sono i tempi giusti di lavoro, per il cavallo e per il cavaliere, quali sono le regole naturali che governano i comportamenti dei cavalli, quali sono le logiche in una progressione di lavoro dove si dovrebbe andare dal facile al difficile, dal semplice al complicato. In un mondo dove l’ignoranza (l’arte di ignorare le cose) la fa da padrona, un mondo fatto di “ istruttori che non sanno insegnare, genitori che non sanno educare, dirigenti che non sanno dirigere, ragazzi che non sanno pensare”.Un mondo che è un po’ lo specchio dei tempi in cui viviamo.

Perché “montare bene non è facile, ma montare bene è la prima forma di rispetto nei confronti del cavallo”,là dove la parola rispetto è sulla bocca di tutti, anche di quei pseudo-professionisti che non fanno un minimo sforzo per migliorare le proprie competenze.

Questo è un sistema che crea gente “senza coscienza, senza competenza, senza intelligenza”, un sistema dove i cavalli sono i primattori e al tempo stesso le vittime innocenti e inconsapevoli.
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