lunedì 1 novembre 2010

Au revoir, Monsieur Karl

Era il giugno del 1999, a casa del dott. Mazzoleni (oggi e anche allora Presidente della Siaec) ebbi l’onore di incontrare un ex ecuyer del Cadre Noir della scuola di Saumur, diventato famoso negli anni appena trascorsi soprattutto per le gesta del suo stallone lusitano Odin: Monsieur Philippe Karl. Un personaggio che al primo impatto non mi destò particolare simpatia, capiva l’italiano ma non sembrava minimamente che si sforzasse di parlarlo. Mi ricordo questo particolare perché ne ero quasi infastidito, in realtà egli aveva ancora difficoltà a esprimersi correttamente. In ogni caso, da modesto istruttore di salto ostacoli, aspirante cavaliere di lavoro in piano, affamato di sapere, cultura equestre, nozioni, e tutto quanto poteva farmi crescere, sono riuscito in qualche modo a interagire con lui e a scambiare due parole. Mi pare che in quel frangente l’argomento verteva su Caprilli e l’eredità dei suoi insegnamenti.


Il giorno dopo assistetti per la prima volta alle sue lezioni. Dopo una prima fase di smarrimento in cui capivo poco o nulla di quello che succedeva in campo, mi resi quasi subito conto che il lavoro che proponeva ai suoi allievi non aveva niente in comune con quello che avevo visto fino a quel momento. Soprattutto un particolare mi saltò all’occhio: i cavalli degli allievi, montati da lui, cambiavano immediatamente in meglio, nel giro di pochi minuti, atteggiamento e andature, e alla fine della lezione anche con i propri cavalieri gli stessi cavalli non erano nemmeno parenti lontani di quelli che si vedevano all’inizio. Evidentemente il lavoro funzionava!

Dal punto di vista tecnico, spiccava questo strano uso della mano alta per chiedere la flessione laterale. Un aspetto del lavoro per me particolarmente ostico, riuscire ad arrotondare l’incollatura del cavallo, senza incappucciarlo e senza trovarmi quasi sempre con atteggiamenti di difesa o di contrarietà, vedeva in questo particolare tecnico una via d’uscita. Finalmente! Ho pensato subito che, a dispetto del personaggio, non un campione di cordialità ( si trattava di timidezza, strano ma vero) e nemmeno un tipo particolarmente coinvolgente, valeva la pena seguirlo e imparare più cose possibili da lui.

“Il maestro arriva quando l’allievo è pronto” dice un proverbio buddista, ed io ero pronto al cento per cento per lanciarmi nell’avventura della Leggerezza, che in quella calda giornata di inizio estate nella periferia di Milano mi si presentò come una visione.

Sono passati 11 anni da allora, e ne sono più di venti che Philippe Karl frequenta l’Italia, tenendo lezioni e stage. Ha passato molto tempo da noi, riscuotendo interesse e attenzione da parte di centinaia di appassionati, cavalieri, istruttori dalle estrazioni più diverse. Ma alla fine di tutti questi anni, coloro che veramente seguono i suoi insegnamenti sono relativamente pochi. All’estero, nei paesi dalla cultura equestre superiore alla nostra, come la Germania o la Svizzera, esistono schiere di istruttori e di cavalieri che adottano la sua filosofia e montano con le sue indicazioni tecniche. Per intenderci, in Germania si contano 21 istruttori diplomati della Scuola della Leggerezza, contro i tre dell’Italia, mentre la Svizzera, molto più piccola, ne ha cinque.

Forse proprio per questo, e a causa del crescente interesse nei paesi anglosassoni per la sua Scuola (il prossimo anno inizieranno nuovi corsi della SdL in Inghilterra e in Canada), Karl ha riorganizzato i suoi impegni e ha deciso di chiudere con quest’anno la sua presenza nel nostro paese, affidando a uno dei suoi allievi Istruttori, Bertrand Ravoux, l’onore e l’onere di tenere i Corsi della sua Scuola in Italia.

Una grave perdita per chi conosce Karl e apprezza il suo straordinario lavoro e i suoi fantastici metodi di insegnamento che hanno rivoluzionato e stanno rivoluzionando a livello globale il modo attuale di concepire l’equitazione, riportandola ai fasti dei grandi Maestri del passato, dei quali Karl si può considerare un degno successore e a sua volta il più grande esponente a cavallo del secondo e terzo millennio.

Ma probabilmente gli italiani non lo meritano, ed è lo stesso Karl che mi ha dato conferma di questa impressione, l’ultima volta che ho avuto modo di parlare con lui, poco più di una settimana fa.

Non lo meritiamo, e così lo perdiamo. Au revoir, Monsieur Karl.

sabato 25 settembre 2010

Il club delle mani alte

Molta gente è convinta che la Scuola della Leggerezza si identifichi nell’uso delle mani alte, come se questa fosse l’unica cosa che la differenzi dall’equitazione tradizionale, moderna, attuale. Molti sono anche convinti che il cavaliere della SdL passi il suo tempo in sella a tenere le mani alte sventolandole da tutte le parti.


Vediamo le differenze, in merito agli aspetti tecnici più evidenti e significativi, che ci sono fra l’equitazione attuale, moderna, come è conosciuta da tutti (A), e l’equitazione classica così come è concepita dalla Scuola della Leggerezza di Philippe Karl (B).

Le mani:

A) Devono rimanere basse, fisse e vicine fra di loro;
B) Sono separate fra di loro tanto quanto lo sono i gomiti e all’occorrenza si alzano per chiedere una flessione, una mezza fermata, ecc. ;

Le gambe:

A) Devono essere sempre attive per mantenere l’impulso e attivare i posteriori;
B) Con il cavallo in movimento devono rimanere tranquille, usando la frusta per richiamare il cavallo ad avanzare quando esso rallenta;

L’assetto (o peso del corpo):

A) Deve andare dove è piegato il cavallo, ad esempio nella spalla in dentro sulla pista il peso è all’interno;
B) Deve andare dove il cavallo va, ad esempio nella spalla in dentro sulla pista il peso è all’esterno;

Se il cavallo non avanza:

A) Bisogna usare le gambe più forti e eventualmente utilizzare gli speroni;
B) Bisogna aiutarsi con la frusta e dare la “lezione alla gamba”;

Si rallenta e si ferma il cavallo:

A) Con le gambe attive e la mano bassa che resiste e si oppone;
B) Solo con le mani, verso l’alto, eventualmente rilevando l’incollatura (cambio di equilibrio) ;

Per girare si utilizzano:

A) La gamba interna alla cinghia che agisce, la gamba esterna arretrata, la mano interna tira indietro dolcemente, la mano esterna cede;
B) la redine interna d’apertura e esterna d’appoggio, niente gambe;

I passi indietro si fanno:

A) Agendo con le gambe leggermente arretrate che spingono su una mano bassa e attiva che induce il cavallo, non potendo avanzare, ad arretrare;
B) Con le gambe leggermente arretrate che non agiscono (codice)e le mani verso l’alto che invitano il cavallo ad arretrare, eventualmente rilevando l’incollatura;

La mezza fermata si ottiene:

A) Con un’azione simultanea di mani, gambe e assetto;
B) Solo con le mani , verso l’alto;

La flessione laterale dell’incollatura si ottiene:

A) Con la gamba interna che piega il costato del cavallo (e di conseguenza anche l’incollatura si piega) e la gamba esterna che controlla il posteriore, con una mano interna attiva e una redine esterna che controlla il piego;
B) Solo con la mano interna che agisce verso l’alto e l’esterna che resiste (niente gambe);

La messa in mano:

A) Giunge quando il cavallo,sollecitato con le gambe a portare i posteriori sotto la massa, si rileva col treno anteriore,e l’impulso che passa attraverso il dorso arriva alla mano bassa e fissa, che lo riceve;
B) È un procedimento che riguarda unicamente le mani, che agiscono verso l’alto (e mai da davanti a indietro) e parte dalla decontrazione della bocca e dalle flessioni laterali;

La riunione si ottiene:

A) Spingendo il cavallo da dietro in avanti con gambe attive su mani basse e ferme che resistono e impediscono al cavallo di avanzare;
B) Attraverso una ginnastica che comincia con la spalla in dentro e tutto il lavoro su due piste, i passi indietro, le transizioni elementari e poi quelle più complesse.

La lista non è esaustiva, ma è già sufficiente a comprendere quanto siano distanti l’equitazione insegnata in tutto il mondo, secondo le regole Fei e secondo gli Istruttori Federali che si trovano nei centri ippici di tutta Italia, e l’equitazione che fa capo alla Scuola della Leggerezza.

Quindi, se è vero che La Scuola della Leggerezza "non è il club delle mani alte”, come ho sentito ironicamente puntualizzare dallo stesso Karl ad uno dei suoi stage, è anche vero che non si tratta di un metodo da applicare una tantum o da praticare a seconda del cavallo che si monta, ma una vera e propria “filosofia che raggruppa concetti equestri chiari, efficaci e misurabili, che esclude il ricorso alla forza o ad artifici coercitivi,ma non scarta alcun tipo di cavallo si interessa a tutte le discipline equestri. Questa scuola si basa su una conoscenza approfondita del cavallo, si rimette in questione e si affina con i progressi in ogni campo (anatomia, fisiologia, locomozione, equilibrio, psicologia, etologia). Infine ha per obiettivo la valorizzazione del cavallo e il miglioramento del cavaliere, con una costante ricerca dell’efficacia nell’economia dei mezzi” (“Dérives du dressage moderne” ,P. Karl, ed. Belin, 2006)

domenica 22 agosto 2010

Problemi veterinari?

Quando un cavallo non lavora correttamente, magari presenta delle rigidità, sembra poco reattivo, oppure si difende, manifesta contrarietà alla mano, ecc., spesso si invoca l’intervento del veterinario, o comunque di uno specialista, qualcuno che non partecipa attivamente al lavoro quotidiano, anzi nemmeno lo vede.

Esami del sangue, controllo della schiena, controllo dei denti, per questo ed altro esistono schiere di veterinari, ma anche osteopati, dentisti, chiropratici, per risolvere, curare, controllare, analizzare, gestire, qualsiasi tipo di problema e di difficoltà fisica e psicologica.
Si fa tutto, per il bene dei cavalli, e ognuno può dare il suo contributo. Perché rinunciare all’intervento di uno specialista quando oggi la ricerca medica è avanzata, in farmacologia c’è tutto quello che serve per gestire le situazioni più difficili, dalle zoppie e dai mal di schiena cronici fino ai problemi psicologici e comportamentali?

Il problema è che il ricorso al veterinario o a una figura analoga è diventato un gesto automatico, istintivo, acritico. L’attività non si deve fermare, il problema va affrontato e risolto immediatamente, si attaccano gli effetti senza riflettere sulle cause, che molto spesso risiedono nel tipo di lavoro che si sta facendo fare al cavallo.
Infatti spesso, pur di non riconoscere che una difficoltà nel lavoro dipende da un limite tecnico, da un approccio sbagliato al cavallo, da una errata applicazione degli aiuti, si cerca un alibi di tipo veterinario per non dover cambiare nulla nel proprio modo di montare.

Il cavallo è rigido di posteriori o ha mal di schiena? Infiltrazioni e antiinfiammatori. Il cavallo non sopporta la mano del cavaliere? Fare subito i denti. Il cavallo non avanza, è pigro, sembra sempre stanco? Esami del sangue. Il cavallo non flette l’incollatura? Visita dell’osteopata. E così via.
Il fatto è che 9 volte su 10 la causa del problema è legata a un lavoro sbagliato sul cavallo, e l’equitazione attuale, moderna, ufficiale, che si insegna normalmente nei maneggi, nei club ippici, nell’ambiente agonistico, è perfetta per creare questo tipo di problemi.
Usare mani e gambe insieme, tenere le mani basse e ferme, l’uso continuo delle gambe, l’incappucciare, sono solo alcune delle applicazioni tecniche che portano il cavallo a essere fuori equilibrio, costantemente contratto, legato, ansioso e infine esasperato. A queste si aggiungono l’utilizzo di imboccature forti, di redini ausiliarie di tutti i tipi, di chiudibocca stretti e chi più ne ha più ne metta.
Tutto ciò provoca dolori, spossatezza, infiammazioni articolari, rigidità di ogni tipo, e a lungo andare patologie croniche difficili da recuperare, anche senza fare cento salti o 90 km. di galoppo sostenuto al giorno.

La vera equitazione classica ha, fra i suoi obiettivi, quello di preservare il cavallo da inconvenienti fisici e psicologici, prevenendo qualsiasi tipo di infortunio, pur sottoponendo il cavallo stesso ad un lavoro di alta intensità e qualità, dal lavoro di ginnastica del cavallo giovane fino al conseguimento delle arie più difficili del dressage passando attraverso il salto ostacoli. Equitazione che non trova spazio nella maggior parte degli ambienti equestri attuali, perché conviene a tutti che i cavalli si facciano male o diventino impossibili da montare, in quanto questo favorisce il cambio di cavallo e dunque il commercio dei cavalli stessi, al quale la maggior parte degli istruttori tengono molto.
D’altra parte sono davvero pochi i veterinari che, quando visitano un cavallo, prima di infiltrare e di somministrare farmaci, invitano il cliente proprietario del cavallo a cambiare maniera di montare. Sono pochi perché il cliente normalmente non vuole sentirselo dire e il veterinario… vuole tenere il cliente.

Immaginare se tutti i cavalli, ma veramente tutti, funzionassero sempre, non avessero quasi mai problemi fisici e/o psichici, come dovrebbe essere nello stato normale delle cose: tutto il business attorno al quale girano veterinari e specialisti di ogni genere (anche i maniscalchi), case farmaceutiche, venditori di integratori e unguenti miracolosi, ditte costruttrici di aggeggi vari e imboccature…tutti dovrebbero chiudere i battenti!
Se la figura del veterinario è insostituibile in alcuni casi (vedi coliche importanti, traumi di vario tipo, o più banalmente nel caso di somministrazione di vaccini e vermifughi) non si può eleggerla a partner costante del lavoro quotidiano.

In passato ho sentito una nota campionessa italiana di dressage sostenere che il successo nell’addestramento del cavallo si ottiene quando, prima di tutto, hai un buon veterinario che ti assiste. Una vera ammissione di incapacità personale e di inadeguatezza dei propri principi equestri.

sabato 31 luglio 2010

Lezione di Dressage

Alla fine di gennaio di quest’anno mi trovo, mio malgrado, a dover frequentare un corso di aggiornamento per istruttori Fise.
Me ne sto lontano il più possibile dall’ambiente Fise, ma questa volta ho deciso di andare, anche perché trovandomi a lavorare in diversi Centri ippici Federali, “regolarizzare” la mia posizione perdendo solo due giorni della mia vita, l’ho vista come una cosa fattibile.

Uno dei relatori era il sig. Vincenzo Truppa, Giudice Internazionale di Dressage, già responsabile del settore Dressage e della formazione dei Giudici in Italia, oltre che padre di Valentina Truppa, nota amazzone italiana e migliore esponente del dressage italiano.
Mi appresto dunque a seguire la lezione (teorica) di tale personalità, in quel del Palazzo delle Federazioni (dove c’è anche quella Sport Equestri) pronto a fare domande e anche a fare obiezioni in caso di disaccordo con determinati argomenti, perché penso che troverò molte cose da discutere…
Ma non è facile: ogni tre parole dovrei fermare la lezione per precisare, correggere, replicare a determinati concetti all’opposto di quelli che sento, per cui mi rassegno e aspetto la fine , per le domande, sperando rimanga del tempo.

La lezione è iniziata con dei cenni storici, ovviamente molto in favore della scuola tedesca, mentre della scuola francese l’unico degno di menzione è risultato La Guérinière, del quale grazie alla Scuola Spagnola di Vienna ne sarebbero stati preservati i principi.
Prima considerazione: preservati? dove? Il dressage di oggi ignora completamente i principi del Maestro francese del ‘700, e Truppa (non è il solo) è convinto del contrario!
In compenso Baucher farebbe parte di un periodo oscuro della storia dell’equitazione, un momento buio, artista di circo, figuratevi, pare che in quel periodo l’equitazione non abbia fatto assolutamente progressi.
In realtà dobbiamo a lui la più grande rivoluzione equestre che la storia ricordi, paragonabile forse solo a quella di Caprilli sul modo di saltare o agli stessi principi, ancora validi, dello stesso La Guérinière di trecento anni fa.
Il bello è che anche Steinbrecht, contemporaneo di Baucher, dovrebbe fare parte di questo periodo buio, allora forse era buio solo in Francia…

Sulla parte tecnica, l’ha fatta da protagonista la immancabile scaletta Fei: Ritmo, Decontrazione, Contatto, Impulso, Cavallo diritto, Riunione, rigorosamente nell’ordine.

Ritmo: pare che il cavallo nasca con tre andature naturali (e qui ci siamo), ma poi succede che arrivano le “malattie” per ogni andatura…come se la cosa fosse un fatto ineluttabile. Nel suo libro “Dressage”, Truppa ha perfino affermato che il passo è l’unica andatura che non si migliora, al contrario, si può solo peggiorare!
Ebbene, una di queste “malattie” è l’ambio, provocato da problemi di schiena. Su questo niente da dire, anche se varrebbe la pena domandarsi perché un cavallo arriva ad averlo, visto che la cosa non è assolutamente necessaria. Nel mondo del dressage il fatto che il passo diventi ambio è un fatto abbastanza frequente, forse è questo il motivo di tanta apparente rassegnazione.
Il galoppo a quattro tempi, invece, sembra dipenda dal cattivo assetto del cavaliere: ne prendo atto, anche se io propenderei più per una mancanza di impegno del cavallo, mancanza di tensione, cattivo equilibrio, ecc.

Decontrazione: “la chiave di tutto” (parole sue), è sia fisica che psichica, anche se io faccio fatica a scindere le cose: quando un cavallo può essere rilassato fisicamente e contratto mentalmente (o viceversa)?
“Per ottenerla bisogna fare tanti esercizi”, anche se non ha specificato quali, salvo parlare del Long and Deep, nota pratica dove di fatto il cavallo viene messo sistematicamente col naso dietro la verticale, cioè incappucciato, e non è questo certo un bel modo per decontrarlo. Inoltre “necessitano variazioni di andatura”, ¬- e qui si potrebbe essere d’accordo, - e “tanti circoli, ma tanti” - e su questo punto c’è da fare una chiosa: il dressage è l’unica disciplina, penso, dove il cavallo fa più chilometri di un cavallo da endurance; il fatto che arrivano molto presto problemi fisici per lui, e il veterinario è una presenza costante, deriva anche da questo. Fare tanti circoli è un sistema che usano molti, ad esempio, per flettere un’incollatura rigida, usando una gamba interna che spinge tutto il tempo e una redine interna che tira…ops, pardon …resiste tutto il tempo. Risultato: cavallo più rigido e contratto di prima.

E’ stato invece per fortuna, da parte di Truppa, stigmatizzato l’uso delle redini di ritorno: “se si blocca l’incollatura con queste, si bloccano anche i posteriori”, ben d’accordo, ma anche utilizzando il Long and Deep succede la stessa cosa, purtroppo! Oppure “usandole i cavalli si mettono in piedi”, anche qui senza spiegarne il motivo, perché allora bisognerebbe riconoscere che, con il pretesto di riunirlo, o meglio comprimerlo, il cavaliere usa mani rese più forti da redini di ritorno e gambe (o speroni) forti che spingono continuamente, e il cavallo praticamente impazzisce e, non sapendo se andare avanti o indietro… va verso l’alto!

Contatto: mi dicevo, adesso finalmente si parlerà delle mani, il loro uso, la loro importanza, come e quando usarle e invece…sorpresa! Il contatto è definito come “il contatto di tutte le parti (superfici) del corpo del cavaliere con quelle del cavallo”, definizione stramba e che mi ha lasciato di stucco. Arrivo a pensare che, pur di non parlare delle mani e del contatto con la bocca del cavallo, si trovano gli espedienti più incredibili.
Alla fine il concetto era che se si parla di contatto si parla degli aiuti del cavaliere, cioè mani, gambe, assetto, e le mani sono “la meno importante delle tre superfici”. Insomma, gli aiuti del cavaliere ridotti a livello di “superfici”, e le mani ancora una volta messe in un angolo in castigo.

Sull’Impulso, Cavallo diritto e Riunione non ci sono state cose rilevanti da osservare, salvo che è molto strano come l’impulso, senza il quale praticamente nulla è possibile a cavallo, possa arrivare al quarto posto in ordine cronologico in una progressione di lavoro come la definisce la scaletta della Fei.
Ma l’Impulso Dressagistico, come lo chiama Truppa (forse quello che penso io è… Ostacolistico), è quel famoso Schwung che niente ha a che vedere con una risposta immediata del cavallo alle gambe del cavaliere, che è invece il vero impulso classico.

Una curiosità. Perché il cavallo tira la lingua fuori? Questa è una domanda, non mi ricordo come, uscita fuori durante la lezione. Tre i motivi possibili addotti: 1) problemi di imboccatura, 2) mancanza di decontrazione, 3) problema subdolo di tipo veterinario. Sul punto 2 credo che siamo tutti d’accordo, se la lingua è fuori non è perché il cavallo è rilassato.
Sul punto 3, come spesso accade, quello che non si può o non si vuole spiegare viene classificato come problema di salute, a prescindere. Sul punto 1, e qui sta il vero problema, forse, più che di imboccatura, quello di cui si dovrebbe parlare sono problemi di mano. Ma significherebbe ancora una volta riconoscere che le mani non sono così poco importanti come invece è scaturito dalla lezione.

Infine, mi decido a fare delle domande e, visto che nessuno ne ha parlato, tiro fuori l’argomento Rollkur, anche se forse il sig. Truppa avrebbe preferito evitarlo.
La sintesi del suo discorso è stata che il rollkur, di per sé, se usato per poco tempo è ammesso, anzi in certi casi può essere usato come correttivo!
Poi Truppa ha parlato del video che gira in internet che mostra un cavallo lavorato in rollkur, dove alla fine si vede che il cavallo ha la lingua blu. Morale: non è stata una bella pubblicità, non si sarebbe dovuta vedere questa cosa, insomma il problema non è che il rollkur è terrificante per i cavalli, ma che questo passi come messaggio! Se si mette la polvere sotto il tappeto, tutto sembra pulito.
Ma basta domande, la lezione è finita. Andiamo tutti a mangiare.

domenica 18 luglio 2010

Senza imboccatura

E’ ben noto che un cavallo può essere montato senza imboccatura o addirittura senza testiera. Girare, fermarsi e ripartire è possibile con il solo uso delle gambe e dell’assetto. Si può benissimo fare a meno delle mani, dunque, redini e imboccatura possono diventare strumenti superflui, gli stessi migliori esponenti delle varie correnti di equitazione naturale o doma etologica, cominciando dai parelliani, ti portano a fare addirittura lavoro in piano, anche a un discreto livello, solo con una capezzina. Lo stesso Monty Roberts, nelle sue apparizioni in Italia, e arrivato a raccomandare la bitless bridle, testiera priva di imboccatura con redini che agiscono a livello di naso e nuca.

Perché dunque l’imboccatura? A meno mezzi corrispondono più qualità di lavoro, a meno strumenti, più rispetto per la natura del cavallo: si può dire, con premesse del genere, che farne a meno sarebbe la chiave per ottenere ancora più collaborazione e attenzione da parte del nostro amico .

Prima cosa, l’imboccatura, in particolare il filetto, consente una comunicazione con il cavallo più fine e precisa. Il fatto di potere intervenire sulla bocca con la cessione della mascella (Baucher) determina già un grado di decontrazione e rilassamento nel cavallo che parte dal massetere (muscolo preposto alla masticazione) e si propaga attraverso la muscolatura dell’incollatura e della schiena, coinvolgendo il cavallo nel suo insieme. Nella cessione della mascella si agisce sulla commessura labiale, con le mani verso l’alto e non da davanti a indietro (per non schiacciare la lingua) provocando un riflesso di deglutizione e mobilizzazione della mascella inferiore.
Senza imboccatura il lavoro sulle flessioni non può essere svolto con precisione: un’incollatura anche pochi centimetri più alta o più bassa, una flessione laterale della stessa più o meno pronunciata, un grado di apertura più o meno grande della nuca, sono tutti fattori che determinano una differenza sostanziale di postura e in generale di equilibrio nel cavallo, e anche qui una bocca in continuo movimento è garanzia di serenità e collaborazione.
Quando un cavallo è un po’ pigro, indolente, non si tende, non si allunga, non allunga la linea superiore del dorso e dell’incollatura, attraverso il contatto con la bocca del cavallo possiamo provocare tutto questo: tramite il lavoro di azione-reazione, il cavallo inizia a tendere le redini, a tendere se stesso, a portarsi meglio in avanti, a garantirci l’impegno della muscolatura giusta; i muscoli della linea superiore sono in allungamento, muscoli antagonisti (addominali e psoas) in accorciamento. Il tutto con una bocca resa vivace dal fatto che si agisce verso l’alto sull’imboccatura, quindi sulla commessura labiale, e questo ancora determina mobilizzazione della bocca e riflesso di deglutizione.

Attraverso il contatto, ho sempre a mia disposizione un indice di disponibilità del cavallo, che finché muove la bocca mi dice che tutto va bene, che lui è in equilibrio, è rilassato. E’ un dialogo esclusivo, per così dire, intimo, non realizzabile senza ferro in bocca.
La ginnastica positiva del cavallo dipende da una posizione dell’incollatura corretta, che varia a seconda del momento, dell’equilibrio che si vuole avere da lui, difficile se non impossibile da ottenere senza il contatto con la sua bocca.

Se tutto questo è vero, è anche vero che mani che rimangono basse e fisse, che seghettano per far “cedere” l’incollatura, con gambe che spingono per compensare delle mani che “resistono” (e di fatto tirano), determinano un disastro nella relazione mani- bocca del cavallo, e così arrivano difese, manifestazione di insofferenza dalle più banali (bocca dura, digrignamento, lingua di fuori o sopra il ferro, lieve chiusura della nuca) alle più gravi (incappucciamento, fughe, impennate).
La lingua, organo assai vascolarizzato e innervato, che viene schiacciata dall’imboccatura è la prima responsabile del dolore in bocca e dello stato di contrazione permanente del cavallo: non tenerne conto preoccupandosi solo delle barre e magari dei denti (che quasi mai vengono interessati) significa voler ignorare una realtà che si pone in tutta la sua evidenza.

In questa situazione è ovvio che l’uso di mezzi alternativi come capezze, hackmore, bosal, bitless bridle, non solo è preferibile, ma addirittura raccomandabile, perché si risparmiano al cavallo inutili sofferenze, si guadagna in serenità e in disponibilità da parte sua, il controllo è assicurato, i conflitti sono evitati.

In sostanza non è l’imboccatura il problema, ma l’uso che se ne fa. Imparare ad usare bene le mani per giungere a una comunicazione fine e delicata, con il cavallo sempre in equilibrio e rilassato, nella posizione corretta, con la muscolatura giusta che lavora, non è cosa che si impara in pochi giorni, richiede mesi se non anni di applicazione. Se vogliamo, un argomento che scoraggia chi cerca le vie più brevi.
La messa in mano, procedimento classico che trova le sue migliori definizioni principalmente in La Guérinière e Baucher, è la cosa più difficile da ottenere in equitazione, più lunga da studiare, che pone al cavaliere infinite situazioni come sono infinite le tipologie dei cavalli, ma che rende affascinante e stimolante il lavoro di addestramento del cavallo. Senza imboccatura non ci può essere nessuna reale messa in mano e, anche se ci sono in generale meno difficoltà, l’addestramento ne è limitato e impoverito nella sua essenza e nella sua esigenza di massima comunicazione con un altro essere vivente e di ottenimento di una vera ginnastica per migliorare la locomozione e preservarlo dai problemi fisici.

sabato 3 luglio 2010

Incappucciamento sì, incappucciamento no

Nel numero di luglio 2010 della rivista “Cavalli&Cavalieri”, a pag.78, a fine articolo (“Un esercizio di decontrazione”), Anna Paprocka Campanella, dressagista di livello internazionale, afferma che: “Nel lavoro del cavallo non ci deve mai essere costrizione, né chiusura dell’incollatura e incappucciamento. La nuca deve trovarsi leggermente sopra la verticale. Queste sono regole di lavoro che secondo me vanno sempre rispettate. Qualunque metodo di lavoro che preveda costrizione è quindi scorretto …” .

A parte il fatto che la nuca, semmai, deve essere il punto più alto e a trovarsi non sopra ma davanti la verticale deve essere il naso, tutto questo non solo è condivisibile, ma anche corretto, dal punto di vista dell’equitazione classica e di tutti i grandi Maestri del passato che ne hanno fatto la storia.
Il problema è che in almeno otto fotografie su dieci il cavallo è abbondantemente dietro la verticale con il naso, e la nuca non è il punto più alto. Nelle rimanenti foto, in una il cavallo è di spalle e non si vede l’incollatura, nell’altra (pag. 76) la nuca è finalmente il punto più alto e il naso è sulla verticale. Quindi solo una foto rappresenta la posizione corretta da lei descritta…
Delle due l’una: o la signora Campanella non sa cosa significa quello che dice o lo sa e se ne infischia, predica bene e razzola male, anche considerando che quel tipo di posizione viene abbondantemente premiata nelle competizioni di dressage.

Inoltre parla del Rollkur, pratica vietata dalla FEI, dice che non lo conosce e non lo pratica, quindi non lo può giudicare, ma poi aggiunge che “questa pratica può essere applicata solo dai professionisti seri, da chi è in grado di farlo e ha l’esperienza necessaria”, dando in qualche modo una legittimità a questa cosa, e magari anche un valore in se stessa, dopo aver appena affermato che il cavallo non si deve trovare nella condizione di essere chiuso nell’incollatura e incappucciato (fra l’altro, tipico risultato del Rollkur).
Come dire: se sei professionista puoi anche praticare un lavoro scorretto. Curiosa questa cosa, no? Se c’è qualcuno che deve dare l’esempio e svolgere sempre un lavoro corretto è proprio il professionista!

Per finire, la FEI ha vietato il Rollkur, ma ha autorizzato il “Long, Deep and Round”. In pratica l’incappucciamento come pratica di lavoro è uscito dalla porta ed è rientrato dalla finestra. Infatti il LDR non è altro che un surrogato del Rollkur: il cavallo è sempre incappucciato, sempre dietro la verticale, anche se magari non ha il naso al petto, e le conseguenze per il cavallo sono nefaste nello stesso modo.
L’ipocrisia dei poteri forti dell’equitazione internazionale si è manifestata così ancora una volta in tutto il suo splendore.

sabato 26 giugno 2010

Dressage ed equitazione classica

Riporto qui di seguito il testo di un articolo di Philippe Karl apparso sulle pagine della rivista "Equitazione Sentimentale" (ed. Siaec), nell'ottobre 2001, oggi più che mai attuale, i cui concetti sono diffusamente espressi anche nell'ultimo libro "Dérives du dressage moderne" (Ed. Belin 2006). Sperando di fare a tutti cosa gradita.



Dressage ed equitazione classica


Che cos’è il dressage?
A questa domanda, un buon dizionario risponde così: “Insieme di procedimenti a base di pressioni fisiche e psichiche finalizzati alla creazione di riflessi condizionati e aventi come finalità l’impiego di un animale per uno scopo determinato”.
E’ così che si addestra il cane a fare la guardia, a cacciare, cercare nelle valanghe, guidare un cieco… l’elefante a sospingere i tronchi…. L’otaria a tenere un pallone sul naso o il coniglio ad uscire da un cappello.
Si può, ben inteso, giudicare il valore di un addestramento dall’efficacia dei risultati ottenuti, ma ugualmente deve essere giudicato dalla qualità dei metodi messi in opera… poiché essi possono andare dall’apprendistato ludico alla costrizione con la forza, fino alla brutalità o alla crudeltà.
Trattandosi di equitazione tutti i cavalieri fanno dell’addestramento, coscientemente o no, è inevitabile.
Il cavallo non fa alcuna distinzione tra le discipline, tra una presentazione detta di “dressage” e la sua semplice utilizzazione. Ogni impiego del cavallo deve essere considerato come un atto di addestramento… positivo o negativo secondo i casi, e che , in ogni modo, si inscrive nel suo psichismo.
In senso lato, l’addestramento è dunque l’insieme dei principi, metodi e procedimenti, impiegati per l’ottimizzazione dei mezzi del cavallo …. indipendentemente da razze, attitudini e discipline.
Considerato come una specialità, il DRESSAGE ha senso soltanto quando consiste nella ricerca dei metodi più corretti, vale a dire: efficaci e dolci allo stesso tempo, perché conformi alla natura del cavallo. Deve concretizzarsi nella presentazione di un estetismo in cui il cavallo esprima tutta la nobiltà di cui è capace… sotto un cavaliere esemplare in quanto a discrezione e finezza. Tutti i più grandi écuyers di tutti i tempi sono concordi, per lo meno sull’enunciato di quest’idea!
Ecco perché “l’arte di addestrare i cavalli” resta un elemento prioritario e dominante del patrimonio culturale, fedele specchio delle epoche e delle società in cui essa si sviluppa.
Ora, come è evoluta questa specialità moderna chiamata “Competizione di Dressage” ?.... nata negli anni ’20 e considerata come il ramo comune di tutte le discipline, nella formazione degli insegnanti?
Tempo qualche decennio, il dressage è passato dal confronto confidenziale tra amatori iniziati, usciti da diverse SCUOLE (tedesca,russa e latina), al professionismo esibizionista degli sponsor e dei media, sotto il completo dominio tedesco. Perché?
Prima della seconda guerra mondiale, Gustav Rau, allora responsabile dell’allevamento tedesco, formulò la direttiva seguente: per il DRESSAGE, gli allevatori devono far nascere “….un cavallo che, all’origine, presenti tutte le caratteristiche del cavallo addestrato”. In cinquant’anni l’obbiettivo è stato raggiunto… e vista la superiorità schiacciante del suo allevamento, la Germania ha logicamente imposto i suoi metodi di addestramento a cavalieri e preparatori, così come i suoi criteri di giudizio alla FEI.
Questo si chiama un monopolio commerciale.
Il problema è che, in termini di cultura, uniformare e standardizzare significano impoverimento e regressione.
Di conseguenza, ai nostri giorni, il cavaliere di DRESSAGE monta un cavallo tedesco, applica i metodi tedeschi e , se decide di prendere un addestratore…questo è tedesco.
I professionisti del DRESSAGE “sfruttano” con abilità ben più di quanto non “addestrino” dei cavalli straordinari (conformazioni ineccepibili, andature favolose e testa “a tutta prova”)…. acquistati, ben inteso, per delle somme astronomiche. Tutto ha un prezzo! Malgrado questo, ben pochi raggiungono livelli alti, senza parlare di “alta scuola”, e la gran maggioranza dei cavalli vengono rovinati e riformati prima degli 8 anni!
In totale, progresso dell’allevamento e professionalizzazione della disciplina hanno portato all’ emergere di un nuovo tipo di cavaliere: il “jockey di dressage”, come esistono dei “jockey di salto ostacoli” e dei “jockey delle corse” (l’espressione è del colonnello Durand, écuyer en chef del Cadre Noir, dopo essere stato internazionale di salto ostacoli… una voce autorevole!).
Conta solo in risultato in una società competitiva e consumista. “La più nobile conquista dell’uomo”, è ridotta ad un investimento…senza sentimento.
Se il business trova la sua convenienza con la sua parte di espedienti discreti, di brutalità e di cinismo, garantiti da regolamenti su misura e giudizi compiacenti… l’Equitazione perde la sua anima e le sue virtù educatrici.
In questo tutt’uno sponsorizzato, mediatico e globalizzato, la cultura Equestre affonda lentamente in questa povertà tecnica e in questa indigenza intellettuale che sono la felicità dei parvenus ed in cui i cavalli, sempre migliori, sono le prime vittime.
Dal lato loro i regolamenti si inabissano sempre più sotto le esigenze della professione ed i principi classici cedono sempre più terreno sotto la pressione dell’ambiente e dei suoi interessi.
Qualche esempio concreto di questa regressione:
- quando fu creato nel 1929, il regolamento FEI di DRESSAGE comprendeva un articolo che raccomandava ai giudici di apprezzare la sottomissione, la decontrazione e l’equilibrio dei cavalli… e la mobilità della loro mascella. Questo articolo è scomparso nel 1958, senza spiegazione alcuna, per cedere il posto all’uso generalizzato di “museruole” che mascherano con la costrizione gli effetti perversi di una cattiva mano. Questo è l’inizio.
- Condannato da tutti i grandi nomi della letteratura equestre e ufficialmente proibito da tutti i regolamenti, l’incappucciamento è divenuto una pratica generalizzata degli insegnamenti, dei preparatori, degli atleti…e dunque dei cavalieri di base. Esso deriva direttamente da un concetto grossolano della “messa in mano”, con delle mani basse, dure e che tirano, sotto il pretesto della fissità…e da un impiego generalizzato di qualsivoglia inredinamento. I giudici chiudono gli occhi su tutto ciò e mettono dei sette e degli otto a dei cavalli che si incappucciano, quando la nota non dovrebbe superare il quattro poiché, più che un errore, l’incappucciamento è espressione di maltrattamento…se si sono studiati tutti i danni possibili!
- I giudici si mostrano ugualmente molto comprensivi con il passo trasformato in ambio. Pertanto, che cosa vale un dressage che, presupponendo la stilizzazione di andature eccezionali, ne distrugge una su tre? Nella giusta comprensione l’ambio dovrebbe essere puramente e semplicemente motivo di eliminazione.
- L’IMPULSO, essenza dell’equitazione, può adattarsi ad un uso continuo degli speroni che lasciano dei segni sui fianchi e provocano contrazioni e scotimento di coda? I giudici dovrebbero sanzionare questo, pesantemente ed in ciascuna figura.
La lista non è esaustiva. Se un regolamento non può pretendere di fare di ciascun cavaliere un genio, dovrebbe, per lo meno, garantire i cavalli dagli esiti delle grossolanità.
Detto questo, il testo della FEI precisa così: “La competizione di dressage è stata creata con lo scopo di preservare i principi accademici da eventuali deviazioni e per trasmetterli nella loro purezza alle generazioni future”…cercate l’errore!
In una società dove si confondono cultura e informazione, realtà e pubblicità, essenza e risultato…gli insegnamenti sono adeguati ad un addestramento che considera la competizione di dressage come una ricerca di prodezza.
Ora, la competenza e la quotidianità di un insegnamento consistono fondamentalmente nel recuperare qualsiasi cavallo, di qualunque disciplina si tratti, migliorando tutti i cavalieri.
Sprovvisti sia culturalmente, che tecnicamente e pedagogicamente, per raggiungere questo obiettivo essi rovinano molti cavalli, anche buoni, e disgustano una folla di cavalieri, anche appassionati.
Le statistiche sulla defezione dei cavalieri e l’abbandono della professione sono, a questo riguardo, molto eloquenti!
I cavalieri che non hanno l’ossessione dei concorsi o i mezzi economici per cambiare il cavallo ogni due anni, abbandonano l’equitazione o cercano disperatamente un’alternativa.
E’ così che, abbandonando le sue fonti classiche, il dressage moderno fa indirettamente la promozione delle equitazioni parallele…western, barocca, spagnola, portoghese etc.
Cosa strana, allorché il dressage si vanta “sportivo”, tutte queste equitazioni si vantano “classiche”. La natura ha orrore del vuoto…!
Se alcune personalità di questa sottomissione alla moda sono perfettamente rispettabili, la maggioranza ne usurpa i titoli e molti sono gli astuti ciarlatani.

Che cos’è l’equitazione classica?

CLASSICO. La qualifica implica una referenza storica, un tantino austera, ma che conferisce una legittimità ed una rispettabilità molto lusinghiera.
L’abito non fa il monaco, la tenuta spagnola o il costume Luigi XV non possono essere sufficienti a designare l’écuyer classico. Queste nostalgie e folklori hanno il loro fascino e valgono ben l’estetica del frac da DRESSAGE, ma non possono fare da soli una vera differenza.
Per essere “classico” bisogna escludere tutte le razze dette “barocche”?
L’uso dei pilieri e delle briglie da trenta centimetri, significa “classico” solo perché sono stati imposti nel XVII e XVIII secolo?
Per essere “classici” bisogna stare inesorabilmente con il sedere nella sella?
Si può essere “classici” e praticare il salto ostacoli?
Queste sole questioni fanno comprendere che il classicismo non può né ridursi al conservatorismo, né far prescindere dagli apporti positivi dell’equitazione moderna.
Che si tratti di pittura, di musica, di danza o di teatro, il classicismo è un’esigenza di purezza, di eleganza, un rifiuto degli effetti truccati.
In equitazione, lo spirito classico risiede in una ricerca permanente della maggiore economia di mezzi, al servizio di una purezza delle arie e delle andature, atta a sublimare il cavallo, assicurandone la longevità.
Ciascuna epoca della storia dell’equitazione ha apportato il suo mattone all’edificio classico. Qualche esempio:
- Quando, 350 anni a.C., Senofonte scrive: “Ammorbidire l’incollatura con la decontrazione della bocca”…egli è genialmente classico, venti secoli ante litteram e baucherista ventun secoli ante horam.
- Il Rinascimento italiano, mediante il suo gusto raffinato, fa sortire l’equitazione dalle brutalità del Medioevo. E’ così che GRISONE conferisce priorità fondamentale alla “messa in mano”, al “ramener” (nuca flessa e che resta il punto più alto di un’incollatura rilevata), accompagnato dalla flessibilità della mascella (cavallo che “gusta il suo morso”); e ugualmente è il PIGNATELLI che semplifica e addolcisce le imboccature.
- Ispirandosi alle Accademie italiane, alcuni écuyer francesi migliorano ancor più l’equitazione. E’ DE LA BROUE che rifiuta ogni violenza: “Il libero consenso del cavallo porta maggiori comodità di quanto non facciano i rimedi con cui ci si impegna a reprimerlo”.
- LA GUERINIERE, nel XVII secolo, esime il cavallo dalla terribile costrizione del piliere unico e mette a punto un esercizio fondamentale: “La spalla in dentro”. Egli definisce ugualmente la “discesa di mano”: messa in libertà sulla parola, del cavallo precedentemente equilibrato.
- Nel XIX secolo, BAUCHER inventa le flessioni, il lavoro a piedi ed il principio “mani senza gambe e gambe senza mani”, che educano il cavallo e lo riuniscono, dispensandolo dai pilieri, così come dalle imboccature severe. Egli fa della leggerezza agli aiuti la ragione della riunione e non soltanto la sua conseguenza.
- L’invenzione del trotto sollevato rivoluzionerà, alla fine del XIX secolo, la cavalleria. Si tratta di un contributo classico, poiché alleggerisce il dorso dei cavalli!
- CAPRILLI è classico quando mette a punto la monta in sospensione sull’ostacolo, poiché libera i cavalli da una vera e propria tortura e migliora le loro possibilità.
- Infine, quando MONTY ROBERTS, sulla base dello studio comportamentale dei cavalli, mette in evidenza la possibilità di dominare e domare rapidamente e senza violenza…è classico.
E così di seguito…
In conclusione, in addestramento, essere classici significa: più scienza e meno materiale di qualsiasi tipo…più intelligenza e meno forza.
Ciò è riassunto perfettamente in una sola parola: LEGGEREZZA. Questo concetto equestre, prima di tutto latino,ha il suo momento di gloria nel XIX secolo, con Baucher e i suoi discepoli, come il generale L’HOTTE. Poi la competizione di dressage l’ha messo da parte per il profitto.
Senza un ritorno a questi valori essenziali che, soli, possono ricondurlo alle sue radici, il dressage moderno si condanna ad essere soltanto una specialità con finalità economica e sportiva, garantito da proprie regole, chiuso su se stesso ed al di fuori della Cultura Equestre, come delle altre discipline, e dunque inadatto a formare validi insegnanti.
E’ questo il senso del mio impegno, che riceve un’accoglienza entusiasta in molti paesi e soprattutto in Germania…bisogna credere che questo spieghi quello!

Dedicato a tutti i miei allievi italiani, al presidente della SIAEC ed alla sua équipe, che fanno un lavoro degno di elogio in favore della cultura equestre.


Philippe Karl

sabato 19 giugno 2010

Le redini ausiliarie

Un allievo ha un problema con il suo cavallo, non lo controlla, oppure non riesce a girare, o magari esso tiene la testa così alta che diventa difficile fare qualsiasi cosa. L’istruttore in molti casi attribuisce questo al fatto che l’allievo in questione “non ha abbastanza gambe”, oppure che è un problema di assetto. Le mani non vengono prese in causa, eppure sono loro quelle che sono collegate con la bocca del cavallo, forse dipende da quelle l’insofferenza del cavallo… ah sì, parliamo di un cavallo che non risulta affetto da problemi di schiena e vede il dentista due volte all’anno, giusto per sgomberare il campo da dubbi che ogni volta assalgono chi ha un problema di addestramento e non di salute.

Bene, delle mani l’istruttore non ne parla. Del resto, oltre che devono stare basse, vicine e ferme, non saprebbe cosa dire. Dunque il problema è la mancanza di gambe o di assetto.
Risultato: mettiamo alla bocca del cavallo due belle redini di ritorno… tenute dalle mani! A nessuno viene in mente di metterle agli stivali del cavaliere o alla sua cintura visto che il problema sono le gambe o l’assetto!
Così il cavallo tiene la testa a posto, qualche volta diviene più guidabile e manifesta una apparente sottomissione, nella maggior parte dei casi però va a incappucciarsi (ma questo non sembra preoccupare nessuno, anzi è un motivo di soddisfazione).

Le cosiddette redini ausiliarie sono sempre più diffuse nei campi di lavoro, fra gli addestratori, fra i cavalieri, fra gli istruttori.
Spesso consigliate dagli esperti, per qualcuno sono risolutive, per altri sono indispensabili.
Bisognerebbe in ogni caso sentire il punto di vista dei cavalli al riguardo, perché loro ne farebbero volentieri a meno: la sensazione di claustrofobia, le posizioni innaturali tenute per lungo tempo, i dolori muscolari che ne conseguono, tutto questo ne squalificherebbe l’uso metodico, anche quando è accorto.

Le redini di ritorno, o redini tedesche, in particolare, sono le redini ausiliarie più popolari e usate, ma a volte vengono preferite le redini elastiche, o le redini fisse, in particolare per il lavoro alla corda.
Molto usate sono anche le redini gogue e chambon, le prime per il cavallo montato, le seconde per il lavoro alla corda. Vengono considerate meno costrittive e più “virtuose” delle redini di ritorno, in qualche caso infatti provocano e facilitano nel cavallo l’estensione dell’incollatura, che è uno degli obiettivi dell’addestramento, ma hanno una serie di controindicazioni quali la loro specificità solo per un certo tipo di cavalli, il fatto che a volte peggiorano la situazione anziché migliorarla, e spesso accade che quando si tolgono si torna al punto di partenza, cavallo con la testa all’aria e ingestibile.

La posizione della Scuola della Leggerezza su questi aspetti è molto chiara: è la messa in mano la cosa da ricercare ed è un compito esclusivo della mano; le gambe e l’assetto non concorrono affatto al suo conseguimento.
La decontrazione della bocca, lo studio delle flessioni, l’utilizzo delle mezze fermate classiche, il lavoro di azione-reazione per i cavalli che non tendono le redini (vedi post precedenti), questi sono gli “strumenti” di cui si serve il cavaliere, una competenza della mano che va acquisita giorno per giorno e che permette a chi la sviluppa di poterla utilizzare con qualsiasi cavallo di qualsiasi razza e morfologia.

Baucher sosteneva che “tanto più grande è la competenza del cavaliere, tanto più piccolo è il suo armadio”, e si riferiva ovviamente agli strumenti di questo tipo.
La Guérinière considerava il fatto che “non vi è niente al di fuori delle risorse del cavaliere”, in un’epoca nella quale le redini di ritorno già esistevano.

Anche la storiella che le redini di ritorno possono essere usate senza problemi ma solo da chi è cavaliere esperto, non regge, perché chi è cavaliere esperto in realtà non avrebbe bisogno di usarle.
Chammartin, già olimpionico di dressage, parlava delle “redini di ritorno solo in mano a un artista, che in quanto tale però ne può fare a meno”.
La verità è che costituiscono per molti un palliativo, un mezzo di contenimento e di controllo autoritario del cavallo, spesso brutale, sicuramente sbrigativo, quando non si riesce ad ottenere la messa in mano.

Imparare l’uso delle mani e conseguire un corretta messa in mano con qualsiasi cavallo è un lavoro che richiede tempo, applicazione, costanza e, ovviamente, conoscenza, componenti che stanno scomparendo dai requisiti dell’addestratore moderno, che cerca il risultato immediato e senza sforzo.
Ma il mondo equestre attuale spinge a non considerare le mani come il più importante degli aiuti, arrivando a negarne quasi il ruolo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, le redini ausiliarie spopolano (peraltro con grande gioia di chi le vende), oltre a una presenza sempre più massiccia di capezzine speciali con chiudibocca, imboccature forti e uso indiscriminato di farmaci per gestire cavalli altrimenti inguidabili e ingovernabili.

sabato 5 giugno 2010

Il cavallo difficile

Il cavallo difficile può esserlo o diventarlo, per la sua conformazione fisica non ideale, per il suo carattere poco accomodante, per un precedente cattivo addestramento, o per tutte queste cose messe insieme.

Un cavallo difficile è spesso poco gratificante, il suo lavoro è duro, richiede una grande dose di umiltà (a meno che non si intenda usare la forza bruta e sistemi coercitivi, col rischio di peggiorare le cose) e qualche volta anche un bel po’ di coraggio.

Una persona comune, che non fa di mestiere l’addestratore, che non è cavaliere professionista, che non insegna equitazione, trovandosi ad avere un simile cavallo (per un acquisto sbagliato, per un lavoro fatto male, ecc), si trova di fronte a due possibilità:
1) considera il cavallo in questione un elemento della famiglia, invendibile, non cedibile, quindi si rimbocca le maniche e si affida a qualcuno che lo aiuti a portare avanti il suo lavoro, con “una pratica quotidiana, ostinata, spesso ingrata e prossima all’ascesi”(Karl) ;
2) lo vende, o lo cambia con un altro, ipotesi da non disprezzare a priori, perché a volte la sfida è ai limite dell’impossibile… anche se personalmente è quella che a me piace meno.

Per chi, al contrario, considera i cavalli la propria vita, li addestra per lavoro, è un professionista dell’equitazione, qualsiasi sia la disciplina che pratica, un cavallo difficile è una preziosissima opportunità per fare un certo tipo di esperienze, per aumentare le proprie competenze, è una sorta di laboratorio dove sperimentare, riflettere, provare, con lo spirito del ricercatore che deve verificare principi e applicazioni tecniche.
Trovo strano che certi professionisti, istruttori, trainer, vedano nel cavallo difficile una scocciatura, una perdita di tempo, un dispendio inutile di energie. Alcuni maledicono questo tipo di cavallo, forse perché li mette di fronte ai propri limiti, altri lo snobbano considerando che “al mondo ci sono tanti cavalli migliori di quello”, ma poi non ce n’è mai uno che vada bene, per loro.

Personalmente, quando mi capita un cavallo simile, il cui lavoro non è facilmente inquadrabile in schemi noti, mi ci dedico con molta più attenzione e dedizione, perché la sensibilità che acquisisci, le nozioni che ti dà il lavorarci, le soluzioni che trovi, tutto questo non può venire da nessun istruttore, da nessun maestro, per quanto bravo sia.
Un cavallo così è una benedizione del cielo.
I cavalli sono i nostri veri insegnanti. Lo stesso Philippe Karl, nel suo “Una certa idea di dressage” afferma: “Il cavallo è sempre il ‘maestro’ dell’ecuyer…e il solo banco dove si possa apprendere la modestia” (P. Karl).

domenica 9 maggio 2010

Le grand Hippo-Théo: "Intelligence oblige"




Un delizioso scritto di François Baucher, proposto sotto forma di dialogo (ultima edizione risalente al 1864) “Dialogues sur l’èquitation entre le grand Hippo-Théo dieu des quadrupèdes, un cavalier et un cheval” ossia “Dialoghi sull’equitazione fra il grande Hippo-Théo dio dei quadrupedi, un cavaliere ed un cavallo”, poco conosciuto, rappresenta uno degli esempi più illuminanti del pensiero baucherista, oggi più che mai attuale.

Il grande Hippo-Théo, dio dei quadrupedi, stanco di vedere brutta equitazione, cavalli sulla difensiva (sgroppate, calci, impennate, ecc.) che lottano con cavalieri che dispensano speronate e frustate, e il tutto “senza protocollo…senza una preliminare dichiarazione di guerra”, decide di dare per un’ora la parola al cavallo, affinché possa dialogare con il cavaliere e spiegare se, secondo lui, usando anche argomenti di anatomia e fisica, le vessazioni che procura a lui il cavaliere sono giuste o meno e se le sue difese dipendano dal suo carattere o da altro. Quanto al cavaliere, egli deve esporre il suo punto di vista, senza cadere nei personalismi e nelle offese, piuttosto far prevalere la “giustezza” nelle sue argomentazioni. Il grande Hippo-Théo, dal canto suo, garantisce assoluta imparzialità.
Inizia così questo scambio di idee, questo confronto, quanto mai esplicativo ed istruttivo.

Il cavallo ricorda la sua natura, le sue inclinazioni, i suoi istinti, a cui occorre fare riferimento se non ci si vuole scontrare con lui, mentre il cavaliere replica al cavallo che “la sua condizione” naturale è “l’essere schiavo, che manca di intelligenza e che deve sottomettersi a tutti i suoi capricci”.
Opinione che non mancherà di correggere nel corso del dialogo (che si svolge in due parti), quando appunto egli riconoscerà al cavallo una sua propria intelligenza, una sua natura che non va forzata ma assecondata, che le incomprensioni nascono dai “mezzi sbagliati” che si adoperano e non dalla “malizia” o dalla “cattiva volontà” del cavallo.
“Chiunque si dà la pena di cercarmi, mi trova sempre” sottolinea il cavallo in un passaggio. Quale richiamo all’umiltà, quale esortazione più grande di questa a darsi da fare per imparare, conoscere, capire sempre di più il nostro nobile compagno!
“Equilibrio, posizione, e la tua volontà diventerà la mia” parole ancora del cavallo, e qui sta in sintesi tutta la scienza di Baucher, che basa i suoi insegnamenti nella ricerca della posizione migliore, partendo dall’incollatura, per mezzo della decontrazione della bocca, ricercando la scioltezza e il massimo utilizzo delle proprie forze, senza contrazione alcuna da parte del cavallo.

Nella seconda parte del dialogo, il cavaliere riconoscerà che “i torti dei cavalieri verso i loro cavalli sono dovuti per la maggior parte all’ignoranza degli insegnanti” (mi ricorda qualcosa: vedere al proposito “Istruttori e cultura equestre” in questo blog). Infatti egli si è reso conto (dopo avere seguito il consiglio di Hippo-Théo di andare in cerca dei migliori maestri dell’epoca per imparare i fondamenti della scienza equestre) che non è facile trovare chi insegna l’arte sapendo trasmettere i veri principi dell’equitazione, e che siano veramente efficaci. Ma poi dichiarerà che questi maestri ci sono, e vengono dalla Francia: il riferimento autobiografico è molto chiaro…
E così il cavaliere esplica i concetti fondamentali dell’arte equestre, di fronte a un compiaciuto dio dei quadrupedi e a un finalmente soddisfatto cavallo, che non manca di confermare quello che il cavaliere spiega riguardo ad un’equitazione sapiente, che fa uso di mezzi non coercitivi e sfrutta l’intelligenza del quadrupede stesso, oltre che i principi di anatomia e di fisiologia.”Cambia tutto con il nuovo sistema (quello di Baucher, appunto, ndr); il mio maestro mi chiede il giusto impiego delle mie forze, e le dirige saggiamente. Questo benessere fisico influisce sul mio morale e le mie imperfezioni cedono a poco a poco a questo felice influsso”.

“Ragionamento ed esperienza” le chiavi del successo con i cavalli, conclude il cavaliere, ed inoltre (udite udite) “quanto all’adozione universale di questo nuovo metodo, essa si trova di fronte agli ostacoli che incontrano naturalmente tutte le innovazioni: alcuni la rifiutano perché non la comprendono, mancanza di studio; altri la rifiutano per amor proprio”. Si potrebbe dire lo stesso per la Scuola della Leggerezza così come per altre scuole e filosofie equestri che sono rigettate dall’ambiente ufficiale. Il meccanismo è identico…
Intanto il cavallo aggiunge: “Fra i vari vantaggi, il nuovo sistema ha quello di mettere di fronte l’educazione del mio maestro e la mia. Iniziati alle stesse lezioni, adottiamo gli stessi principi. Il mio istinto, in contatto continuo con l’intelligenza del mio cavaliere, si modella ad esso; da qui consegue che il progresso dell’uno provoca quello dell’altro. Il cavaliere diviene fiero della sua cavalcatura, e il cavallo, riconoscendo le buone cose dell’educazione acquisita, rivolge al suo maestro un’obbedienza tanto più grande quanto quella (l’educazione, ndr) è divenuta più facile”.
Hippo-Théo conclude sibillino, rivolgendosi al cavaliere ma, si potrebbe dire, ai cavalieri di tutte le epoche: “intelligence oblige”!

Dalle pagine di un piccolo gioiello della letteratura equestre di tutti i tempi scaturiscono principi, concetti, pensieri, più che mai attuali, per una piacevole anche se, a tratti, non facilissima lettura nei contenuti (è necessario avere un’idea abbastanza precisa della scuola di Baucher), alcuni dei quali ho voluto riproporre qui per stimolare alla lettura, alla riflessione e, come dice il grande Hippo-Théo: “ Coraggio, signor cavaliere! Studiate con perseveranza, e i più brillanti successi verranno a ricompensarvi dei vostri lodevoli sforzi.”

domenica 25 aprile 2010

Istruttori e cultura equestre

Mi è stato raccontato, tempo fa, un aneddoto su un istruttore di equitazione che, alla domanda di un suo allievo che gli chiedeva se ci fossero libri da leggere di argomento equestre, gli rispose: “ Sì, ma non è il momento, se un giorno sarai istruttore potrai farlo, ma adesso non capiresti, adesso devi fare quello che ti dico e basta!”.

E’ pur vero che “i libri insegnano a coloro che già sanno”(L’Hotte), ma un allievo, per quanto principiante sia, può trovare in qualche buon libro quanto meno degli spunti per porsi delle domande, per scoprire quanto è articolata la materia, fino anche ad arrivare a sentirsi piccolo di fronte alla vastità del pensiero equestre che nei secoli è stato sviluppato.

Ma il problema è proprio questo: è l’istruttore medio stesso che non legge, non conosce la storia dell’equitazione, le teorie che si sono accavallate nei secoli, i personaggi che l’hanno caratterizzata. Spesso non ha una conoscenza nemmeno del cavallo inteso come animale erbivoro, con una sua psicologia, un suo apparato locomotore, una sua anatomia, una sua fisiologia, e quanto tutto questo sia collegato con il fatto di montarlo e di chiedergli qualche cosa dal punto di vista tecnico.

Sulla base di questo c’è un evidente interesse a mantenere l’allievo in uno stato di ignoranza sufficientemente elevato da evitare che egli  porga a sé stesso e a lui delle domande.

Anzi, l’allievo viene educato, giorno dopo giorno, a seguire le indicazioni dell’istruttore senza batter ciglio, senza un “perché” e qualche volta senza un “come”! Fai, gli viene detto, e un giorno capirai, anche se quel giorno non arriva mai.

L’allievo, magari per essere accettato nel club, per conformismo, si adatta alla situazione, rinuncia a un atteggiamento critico, sa che qualche cosa non va ma non vuole rendersi la vita difficile, magari ha anche un cavallo che gli dà problemi e che è stato dichiarato inabile a un qualsivoglia lavoro, sia pur elementare (la prospettiva cambio di cavallo è quella più attraente se non l’unica), ma non cerca altre vie (pena l’allontanamento dal maneggio), non aspira a imparare di più, addirittura pensa che non ci sia nemmeno più niente da imparare!

L’equitazione commerciale è lo scenario tipico di questo stato di cose, là dove il giro di cavalli che vanno e vengono dalla scuderia, le competizioni alle quali si è obbligati a partecipare senza magari nemmeno avere una preparazione adeguata, l’uso indiscriminato di farmaci e la visione del cavallo come macchina sportiva senza un’anima e una personalità, la fanno da padrone.

Gli istruttori, peraltro, hanno paura che venga in qualche modo messo in pericolo l'equilibrio del proprio entourage da qualche allievo curioso o magari un po’ più consapevole e acculturato. Non parliamo del rapporto con i colleghi istruttori, assolutamente da evitare e isolare quelli di cui si conoscono le capacità e le competenze, pochi in verità, ma appunto che non devono entrare nella sfera dei propri allievi-clienti: si dovrebbero sopportare antipatici confronti per poi trovarsi anche a rendere conto del lavoro che i propri allievi vedono fare a questi istruttori, lavoro che è diverso dal loro.

Insomma, l’unica possibilità per un cavaliere che voglia aspirare a crescere e migliorare e imparare sempre di più, è quella di uscire dal mondo incantato del proprio centro ippico e cominciare a girare e informarsi e conoscere nuovi personaggi, nuove tendenze, nuove filosofie, oltre a leggere il più possibile le opere dei maestri del passato e, perché no, a confrontarsi in rete che per fortuna offre, in questo senso, una notevole via di fuga e di libertà, come per molte altre cose.

domenica 11 aprile 2010

La Madre di tutte le equitazioni

Quando si parla di equitazione classica spesso si pensa ad eccentrici cavalieri, con la paura di saltare e un po’ snob, che montano magari cavalli barocchi, con morsi e speroni ardenti, magari con costumi d’epoca.

Ma in equitazione classica non esiste un particolare tipo di cavaliere, né un particolare tipo di cavallo, e nemmeno un particolare tipo di abbigliamento.
Non si può considerare una disciplina, né sportiva né da lavoro, chi la pratica non si veste con costumi del XVIII sec., può avere stivali da dressage, camperos, ghette o... calzettoni da endurancista.
Si pratica con qualsiasi cavallo, di ogni razza e modello, e si può approcciare qualsiasi sia la sella che si ha sotto il sedere.

Lo scopo dell'Equitazione Classica è quello di fare da base a tutte le discipline equestri, aiuta qualsiasi cavaliere a migliorare la situazione del proprio cavallo indipendentemente da quello che gli fa fare, che sia saltare, correre dietro ai vitelli o uscire in passeggiata.
Quello che avrebbe dovuto fare il Dressage moderno, e che invece ha fallito miseramente nel suo compito, era quello di preservare nella forma e nella sostanza i principi classici equestri. Totalmente stravolti quelli, il Dressage è diventata una disciplina iperspecializzata, che ha bisogno di un certo tipo di cavalli per essere praticata e di molti soldi per poter avere successo, là dove le capacità, il lavoro e la competenza non servono più.

L'Equitazione Classica non fa a cazzotti con le tecniche cosiddette naturali (Parelli, HP, Monty Roberts, ecc.), ne rispecchia in pieno i principi, è complementare ad esse, in ogni caso il rispetto per il cavallo rimane al primo posto.

In Equitazione Classica il cavallo non si usa, non si sfrutta, non è il mezzo, è il fine. Il cavallo si lavora, si plasma , si modella, ci si relaziona.

In Equitazione Classica il cavallo si sente meglio e, spesso, diventa un animale felice.

L'Equitazione Classica si può considerare come la "Madre di tutte le Equitazioni".

martedì 6 aprile 2010

Mani e gambe

Esistono delle definizioni, dei procedimenti e delle convinzioni nel mondo equestre assai popolari e condivise da tutti. Ne prendiamo in esame alcune spiegando come e perché la Scuola della Leggerezza prenda le distanze da questi che considera dei veri e propri dogmi dell’equitazione moderna.

Definizione di messa in mano, molto popolare e condivisa da tutto il mondo equestre: la messa in mano si ottiene attraverso una attivazione dei posteriori tramite le gambe che spingono in avanti il cavallo e creano impulso, e una contemporanea presa di contatto della mano con la bocca del cavallo. L’impulso, passando attraverso la schiena e il garrese, arriva alla bocca e alla mano del cavaliere che lo regola, lo filtra, lo raccoglie. Il cavallo va ad arrotondarsi, ad ammorbidirsi, risultando leggero.
Questa definizione descrive una situazione assai improbabile, difficile da verificarsi salvo forse in soggetti particolarmente dotati, con una morfologia ed un equilibrio fisico e mentale eccezionali.
Bisogna considerare il punto di vista del cavallo, allora si comprende come per lui questo procedimento normalmente sia fuori dalla logica.
Una mano bassa che resiste non ha niente di diverso da una mano che tira quando il cavallo è sollecitato ad andare su di essa dalle gambe, anche se la mano non opera veramente una trazione da avanti a indietro. Questa infatti per il cavallo significa pressione costante del ferro sulla lingua, di fatto un freno permanente. Ora, un cavallo che non è stato educato a comprendere la mano del cavaliere e l’imboccatura attraverso un lavoro specifico, isolato e mirato sulla bocca, tramite per esempio una cessione della mascella, non capisce il significato di questa tensione che si crea in bocca mentre viene spinto in avanti dalle gambe. Parliamo infatti di due azioni per che il cavallo significano due richieste in antitesi fra di loro.
Un cavallo non è fatto per sfondare muri e porte. Per non dovere continuamente “dare le gambe” per farlo camminare, non chiudetegli la porta davanti al naso. Solo allora voi non dovrete più tentare di sfondare a colpi di tallone la porta che le vostre mani chiudono.
(tratto da: “Equitazione figurata” di Pierre Chambry e Jean Licart, Siaec)




Caso analogo, nella mezza fermata ufficialmente riconosciuta, gli aiuti mani, gambe ed assetto agiscono simultaneamente, situazione appunto non dissimile da quella che serve a mandare il cavallo nella mano. Anche in questo caso c’è contemporaneità nell’uso di aiuti che hanno un significato diametralmente opposto. Inoltre l’assetto, inteso come uso del bacino, non ha il potere che gli si attribuisce di essere in grado di provocare l’impegno dei posteriori, salvo forse nel caso in cui si monta il cavallo a pelo… ma anche così per lui questa azione è sinonimo solo di un cavaliere che si agita in sella.
Altra situazione tipica, quella di usare le gambe nelle transizioni a scendere con l’idea di far venire i posteriori sotto alla massa. Ancora dal punto di vista del cavallo, pratica insensata perché ancora una volta si tratta di messa in gioco di aiuti contraddittori fra di loro.
Insomma il cavallo, anziché andare nella mano, o rilevare morbidamente l’incollatura, o eseguire transizioni fluide, prestando attenzione al cavaliere in maniera fiduciosa, si sente costretto fra mani e gambe e sorgono  guai di ogni genere: per esempio, comincia a rovesciare sempre più l’incollatura per sottrarsi al dolore provocato dal filetto sulla lingua, oppure, essendo portato ad appesantirsi, diventa sempre più forte sulla mano fino a rendere impossibile il suo controllo, e ancora, avendo un freno costante sulla bocca, inizia a non rispondere più alle gambe.
Ecco il perché di tanti problemi in questo ambito, il perché dell’uso delle imboccature più svariate, di redini ausiliarie di tutti i tipi (di ritorno, elastiche, gogue, chambon, ecc.), di chiudibocca sempre più stretti.

Ancora una pratica comune di molti cavalieri, specie di medio-alto livello, è quella di cercare la riunione spingendo il cavallo in avanti con le gambe e assetto, e trattenendo con le mani, con l’idea di far venire i posteriori sotto la massa e alleggerendo così il treno anteriore (il garrese dovrebbe alzarsi e l’incollatura rilevarsi).
Anche questa idea, fra l’altro molto suggestiva ma, secondo i principi della Scuola della Leggerezza, assolutamente falsa e non attinente alla realtà, presenta le stesse problematiche di cui accennato fino ad ora.
In primo luogo, questo procedimento, infatti, induce i cavalieri a prendere un contatto deciso con la bocca del cavallo (redini tese) con le mani basse, e contemporaneamente ad attivare continuamente le gambe. Da ciò consegue che il cavallo si sente chiedere dal cavaliere di andare avanti e nello stesso tempo di rimanere sul posto da mani che resistono ma che, rimanendo basse, di fatto tirano.
Questa, ancora una volta, è una messa in gioco di aiuti contradditori fra di loro, che portano il cavallo a non capire più cosa si vuole da lui: andare avanti o rimanere sul posto? In questa situazione in lui cresce l’ansia, l’irrigidimento, e nascono  atteggiamenti di insofferenza alla mano e di difesa come digrignamento di denti, lingua penzolante, forte peso sulle braccia, ecc., oppure il cavallo si mette indietro, scarta, va in fuga, si impenna, ecc.


Rappresentazioni dell'impulso secondo l'equitazione ufficiale, immagini suggestive ma prive di fondamento. Questa idea crea di fatto un'equitazione basata sullo "spingere e il tirare", oltre a cavalli sottoposti continuamente a compressione (che non è riunione).

In secondo luogo, quello che si ottiene, quando il cavallo per qualche motivo subisce silenziosamente questa che si può considerare una vera e propria tortura, è compressione, e non certo riunione, e si accompagna quasi sempre ad un grado più o meno elevato di incappucciamento, ossia la posizione del collo e della testa molto bassa e il naso dietro la verticale o addirittura al petto. Il cavallo è contratto perché sotto pressione, quindi la decontrazione, ingrediente indispensabile della riunione, è inesistente. Questa contrazione muscolare, di fatto accorciamento della muscolatura, è in antitesi con l’allungamento dei muscoli dorsali e dell’incollatura, prerequisito indispensabile per la riunione stessa.
Inoltre, la riunione avviene quando il cavallo, abbassando le anche e portando i posteriori sotto la massa, trasferisce il suo baricentro indietro. Nella compressione invece accade che il cavallo si appesantisce davanti affossando il garrese fra le spalle.
È evidente quindi che siamo lontani da una qualsiasi idea di riunione nel senso classico del termine, anche se oggi viene comunemente accettata come tale anche quella situazione dove appunto il cavallo è incappucciato, contratto, sulle spalle. Chiaro segnale di una deriva tecnica e culturale in atto nel mondo equestre.

La Scuola della Leggerezza propone una visione opposta e antitetica sia per quello che riguarda la messa in mano che per ciò che riguarda la progressione per arrivare alla riunione.
Essa prevede che il punto di partenza del lavoro sia situato nella parte anteriore del cavallo, e non in quella posteriore, con particolare riferimento alla bocca, fonte della maggior parte delle difese e dei problemi legati proprio alla ricerca della messa in mano e, di conseguenza, della riunione.
Questa visione trae origine dalle scoperte di François Baucher (1796-1873) il quale, operando una vera e propria rivoluzione copernicana dell’equitazione, cominciò a considerare la riunione come risultato (e passaggio successivo) della decontrazione e della messa in mano, in opposizione alla visione fino ad allora comunemente accettata che considerava la riunione una premessa indispensabile per arrivare alla messa in mano e alla decontrazione totale.                                                                            
In particolare egli individuava nella decontrazione della bocca (e della mascella) e nella flessibilità dell’incollatura le premesse indispensabili per portare il cavallo nella mano e prerogativa indispensabile per arrivare a riunirlo, mettendo a punto un sistema che invertiva completamente il principio che tutto partirebbe dai posteriori, dalla spinta da dietro e come conseguenza si migliorerebbe il davanti, ossia la leggerezza alla mano e l’equilibrio generale, fino ad arrivare alla riunione.
A questo proposito occorre sottolineare il fatto che nel cavallo la necessità di essere rilassato e flessibile, prima di impegnarsi in una ginnastica e in esercizi difficili che richiedono contrazione muscolare, è perfettamente in linea con le esigenze della fisiologia del muscolo in preparazione allo sforzo fisico, come ben sanno allenatori e preparatori di atleti degli sport più diversi. Viene da chiedersi come mai per l’atleta-cavallo le cose dovrebbero essere differenti.

Altro concetto fondamentale del Baucher “seconda maniera” ed espresso in modo ineccepibile dai suoi successori Etienne Beudant e François Faverot de Kerbrecht, era il famoso “mani senza gambe, gambe senza mani”. Questo concetto di importanza capitale è oggi praticamente ignorato e utilizzato inconsapevolmente solo da qualche cavaliere di talento. In termini pratici:
- usare le gambe (supportate da un eventuale aiuto accorto e intelligente della frusta), avendo cura di andare avanti con le mani, lasciando per così dire libera la strada davanti al cavallo;
- non cercare ad ogni costo di “raccogliere”, tramite una tensione costante e prolungata di redini tese con mani basse, l’impulso che si è venuto a creare ma lasciare che il cavallo esprima il movimento in avanti;
- usare le mani, meglio se portandole verso l’alto, in assoluta assenza di gambe, quando si tratta di rallentare il cavallo, o di fermarlo, o di eseguire una mezza fermata.
Con soggetti giovani all’inizio dell’addestramento, la scuola degli aiuti diventa così materia comprensibile e interessante, il cavallo non va in confusione e non viene disgustato da essi, e l’equitazione diventa veramente piacevole per lui e per il suo cavaliere.

La mezza fermata classica, quella proposta da François Robichon de La Guérinière (1688-1751), prevede il solo uso delle mani, peraltro dal basso verso l’alto, niente a che vedere da quella praticata ed insegnata oggi. L’assoluta assenza di gambe ne è la caratteristica principale, e si usa generalmente per alleggerire alla mano un cavallo che tende ad appesantirsi sul davanti, e non per richiamarne l’attenzione in vista di un esercizio. La mano non opera trazione da avanti a indietro ma agisce verso l’alto, anche in questo caso agendo sulla commessura labiale, risparmiando la lingua del cavallo, e finisce la sua azione con una discesa di mano cioè la mano si riabbassa lasciando pressoché libero il cavallo, per verificare che esso sostenga la sua incollatura da solo.

La riunione, infine, arriva alla fine di un percorso non facile e non breve (questo dipende dall’esperienza del cavaliere), scandito da un approfondito lavoro su due piste, con particolare attenzione alla spalla in dentro, dalle transizioni, dallo studio dei passi indietro e infine, dal curare le transizioni stesse a un livello sempre più alto, giungendo al piaffer, che è un po’ la prova del nove della riunione e del buon lavoro fatto fino a quel momento. A questo livello gli aiuti mani e gambe hanno già iniziato a combinarsi fra di loro e a sovrapporsi, ma c’è da sottolineare che il cavallo a questo punto ha imparato in tutti i suoi aspetti più sottili il significato delle gambe (alla cinghia, arretrate) e della mano (decontrazione della bocca, flessioni, mezze fermate) quindi dispone di una scuola degli aiuti eccellente.
Così come il bambino a scuola impara le lettere dell’alfabeto (mani, gambe e assetto) e poi inizia a disporle per formare le parole (transizioni, lavoro su due piste) e infine a combinare le parole per formare frasi (riunione).
Insomma, lo studio della riunione è un processo lento e impegnativo, che richiede tempo e dedizione, e non si risolve nel mettere sbrigativamente il cavallo fra mani e gambe, contando magari solo sulla qualità del cavallo, ma è una meta ambita e sudata di chi tiene in considerazione l’aspetto fisico, morale e mentale del proprio cavallo.

domenica 4 aprile 2010

Un'ora di stress

Sul numero di aprile 2010 di “Cavalli&Cavalieri”, nota rivista degli sport equestri, c’è un ottimo articolo della dottoressa Emanuela Valle.


Da esso emerge che, secondo uno studio di un’equipe di studiosi francesi specializzati in etologia, i cavalli manifestano più o meno stress (stereotipie tipiche, ballo dell’orso, tic d’appoggio, ecc.) a seconda del tipo di attività che svolgono.

Infatti ”pare che l’ora di lavoro quotidiana e la preparazione specifica a cui vanno incontro (i cavalli, ndr) influenzi il loro benessere anche nelle ventitré ore che trascorrono in box”. In particolare i cavalli che praticano Dressage e Alta Scuola sarebbero i soggetti più coinvolti, rispetto a coloro che praticano altre attività o discipline.

Se vogliamo, è un po’ la scoperta dell’acqua calda, soprattutto se si pensa a che cosa è il dressage oggi e a che cosa sono sottoposti i cavalli da parte di cavalieri che pretendono di lavorarli in piano: incappucciamento costante, redini fisse, speroni forti, compressione continua, mani e gambe insieme tutto il tempo.

Se parliamo di benessere, però, non è così scontato il fatto che al cavallo gli si possono dare tutte le possibili comodità, gli si può prestare la massima attenzione in scuderia, gli si possono dare molte ore di paddock o farcelo addirittura vivere, si può fare attenzione a ogni minima sua esigenza, ma se a questo non segue un lavoro o un’attività che non sia una tortura in piena regola, tutto questo è abbastanza inutile.

Non tutti sono consapevoli di questo fatto, anzi molti si chiedono come mai il proprio cavallo manifesti ombrosità, aggressività, o sia così facilmente soggetto a problemi fisici di ogni tipo, da quelli più banali, come per esempio una dermatite, a quelli più gravi, come una colica, nonostante tutte le attenzioni rivolte: alimentazione sopraffina, stabulazione perfetta, paddock, due coperte d’inverno, spray anti insetti d’estate e chi più ne ha più ne metta.

Il nostro rapporto con lui è certamente al primo posto nella scala dei suoi valori e, se questo non è buono o addirittura è basato sulla violenza fisica e psichica o sulla coercizione, non un’ora, ma anche solo dieci minuti di lavoro scorretto possono risultare disastrosi per la qualità di tutta la sua vita.

giovedì 1 aprile 2010

Marco e Gemma: travers al trotto

vedi il video qui

Marco e Gemma: spalla in dentro al trotto

vedi il video qui

Karl a Verden

Il 22 dicembre scorso ho parlato con Karl sull'incontro di Verden.
Mi ha detto che è stato molto contento di come si è svolta la cosa, che è stata assai gradita dal pubblico presente (non c'era un posto libero) che alla fine si è espresso in una standing ovation di un minuto buono.
Anche la presentazione del lavoro dei suoi allievi è andata bene, nonostante molti di loro non avessero l'abitudine a lavorare in un contesto del genere. Tutti hanno lavorato su due piste, qualcuno sui cambi di galoppo, quasi tutti hanno presentato piaffer, passage e passo spagnolo. Il tutto assolutamente con cavalli ordinari, dalle andature normali e alcuni anche con conformazioni evidentemente non da cavalli "da dressage".
Insomma l'ho sentito veramente soddisfatto, ha detto che sono rimasti delusi solamente coloro che volevano vedere i soliti trotti allungati spaziali, cavalli rimbalzanti (e contratti) e andature super. Ma è la solita storia.
Fra il pubblico c'era gente che veniva da tutta Europa ma anche da Stati Uniti, Canada, ecc., fra i quali anche gente del mondo del dressage agonistico.

La parte negativa.
Gerd Heuschmann ha ritrattato tutto il buono che aveva affermato i mesi scorsi. Karl si aspettava già da un po' questo, e Heuschmann ha fatto una relazione molto filo-scuola tedesca, spiegando che cosa non va fatto, per es. l'incappucciamento, ma di fatto accettando per buoni i principi della equitazione attuale, quelli proprio sui quali Karl si sta battendo per confutarne la logica e la efficacia.
La sua, quella di Heuschmann, è stata una inversione di 180°, molto probabilmente non ha avuto il coraggio di andare avanti su questa strada e magari anche la Fei ha fatto pressione su di lui perché rimanesse dalla sua parte. Scusate l'espressione pittoresca: in pratica non ha avuto le palle.
Oltre a questo, secondo Karl, essendo la sua preparazione tecnico-equestre molto limitata, egli non riesce ad apprezzare fino in fondo determinati aspetti dell'equitazione che Karl propone, anche se a parole lo aveva già fatto. Ma adesso si sta ricredendo, e qualcuno deve avergli fatto cambiare idea...
Presto Karl scriverà di questo sul suo sito.

Intanto la Fei ha chiesto a Karl di partecipare con i suoi rappresentanti a un incontro a Warendorf. Vogliono rimediare alla brutta figura di Cristoph Hess.

Cavalli & Cavalieri

Ho mandato una e-mail alla rivista Cavalli&Cavalieri di cui riporto il testo:

"Gentile Redazione,
sono un istruttore della Scuola di Leggerezza e ho apprezzato molto il Vostro articolo apparso sul numero di agosto 2009 “Addestramento o costrizione?”, dove viene presentato Philippe Karl e la sua filosofia di lavoro in maniera chiara e precisa.
Avrei da fare però una precisazione in merito alla posizione della FN, la Federazione Equestre Tedesca, sul documento presentato da Philippe Karl con i suoi nove punti, così come da voi riportato nell’articolo.
Come confermatomi dallo stesso Karl, che ho avuto modo personalmente di contattare nei giorni scorsi, la FN non solo non ha fatto a lui richiesta di produrre il suddetto documento ma non si è nemmeno posta il problema. Tanto che, infatti, ha anche impiegato circa tre mesi prima di dare una qualsiasi risposta, e solo dopo che lo stesso documento è apparso su alcune riviste di settore in Germania.
Quindi questo “avvertire la necessità di cambiamenti...” è semmai proprio del mondo equestre tedesco in generale e non della FN, la quale sente tutto fuorché “la necessità di rivedere il proprio regolamento”! Inoltre, che essa sia, per esempio, alle prese con “conflitti interni generati da problematiche legate al doping” fa giusto intuire quanti e quali siano i problemi di poca pulizia e trasparenza nel mondo equestre agonistico tedesco e purtroppo anche internazionale.
Per la verità Philippe Karl è una vera e propria spina nel fianco del mondo equestre attuale e del dressage in particolare: il suo ultimo libro uscito direttamente in lingua tedesca “Irrwege des Modernen Dressur” (ossia “La deriva del dressage moderno”) è una analisi spietata ma circostanziata e una critica feroce ma motivata, dei dogmi, delle contraddizioni e dei fondamenti equestri ufficialmente riconosciuti oggi. Esso ha suscitato scalpore in Germania (e con le edizioni in lingua francese e inglese anche in tutta Europa e oltreoceano) e ha già pestato non poco i calli alla tecnocrazia equestre tedesca e internazionale.
La risposta della FN ai nove punti del documento, del resto, non fa che confermare una posizione chiusa e irrigidita della dirigenza sportiva equestre, là dove “le sue proposte non possono essere, se non parzialmente, applicate perché non ritenute compatibili con il dressage attuale”, adducendo argomentazioni fumose e banalizzando, oltreché minimizzando i problemi reali.
RingraziandoVi ancora per la bella visibilità che avete contribuito a dare alla Scuola della Leggerezza, peraltro ancora poco conosciuta, Vi porgo i miei più cordiali saluti."

La "masticazione"

Numerosi Maestri del passato, anche autorevoli, hanno lasciato scritto a riguardo di quella che comunemente viene definita "masticazione", intendendo la mobilità e la disponibilità della bocca alla minima sollecitazione del cavaliere. Ma la decontrazione della mascella non è affatto accomunabile all'atto del masticare, cosa che comporterebbe un susseguirsi di contrazioni nel serrare e scostare i denti (come per triturare qualcosa), in effetti tale comportamento si associa spesso a un utilizzo forte dell'imboccatura, ma bensì ne è l'esatto opposto: la mascella non è mai serrata, vi è una morbida mobilità della lingua e riflesso di deglutizione. Sembra dunque che oggi si debba ricorrere con molta prudenza al termine "masticazione", consacrato certo all'uso, ma squalificato nel suo significato letterale.

Le mani


Le mani, in equitazione, seppur considerate uno degli aiuti principali (insieme alle gambe e all'assetto), nella pratica quotidiana e nella didattica hanno un ruolo quasi marginale, in ogni caso passivo, e sembra che la cosa migliore da fare fin dall'inizio, da quando si comincia ad addestrare un cavallo, sia quella di usarle il meno possibile. È pur vero che è meglio non usare le mani affatto, evitando il rapporto con la bocca del cavallo, evitando il contatto dunque (in equitazione naturale non a caso si comincia con una capezza), che usarle a sproposito, correndo il rischio di creare delle difese nel cavallo che, sentendosi offeso in bocca, reagisce facendo di tutto tranne che ubbidire al cavaliere. Cerchiamo subito di sfatare alcune credenze tanto diffuse quanto inesatte: per esempio che tirare in bocca al cavallo sia necessario per rallentare e fermarsi, oppure che le mani debbano essere tenute basse e ferme e debbano muoversi il meno possibile, o anche che per girare a destra sia necessario tirare la redine destra lasciando la sinistra, e viceversa. O anche, e questa è una moda consolidata, che per ammorbidire la bocca del cavallo e fletterlo occorra "spugnare" con le mani quando non addirittura seghettare alternando destra e sinistra.

Quando mettiamo un pezzo di ferro in bocca al cavallo (come è, di fatto,un filetto) e tendiamo le redini con le nostre mani, mantenendole basse, il filetto agisce sulle barre, certamente, ma soprattutto sulla lingua, e questo genera dolore, contrazione, a volte anche ribellione, essendo la lingua stessa un organo molto vascolarizzato ed innervato. Affinché questo non accada è necessario che qualsiasi azione noi facciamo con le mani, che sia una sola o entrambe, sia orientata verso l'alto, questo per evitare il problema di schiacciare la lingua e nello stesso tempo poter agire sulla commessura labiale. Questo già di per sè provoca l'apertura della bocca e di conseguenza la masticazione(*), elemento basilare per poter arrivare alla decontrazione che gioca un ruolo decisivo nel conseguimento dell'ammorbidimento di tutta la muscolatura del cavallo.
Viene da sè che capezzine strette, chiudibocca e qualsiasi mezzo che limiti la mobilità della mascella sono da bandire. Agire con le mani verso l'alto è il mezzo per conseguire il fine di poterle mantenere, successivamente, basse. Infatti un cavallo con la bocca educata, perfettamente addestrato e in equilibrio, si può guidare con in mano il peso delle redini, tenendo le mani basse e muovendo solo le dita. Il problema però è che il cavallo non nasce già addestrato e per arrivare a questo risultato occorre agire con le mani stesse, e in molti casi verso l'alto, per ottenere quella che si chiama messa in mano elementare, situazione ottimale di contatto, decontrazione, equilibrio, in cui il cavallo dispone l'incollatura secondo la volontà del cavaliere, senza forzature, e accetta ogni indicazione delle mani.
Per quanto riguarda la direzione, essa va indicata per mezzo di una redine d'apertura dalla parte in cui si vuole andare, evitando anche qui ogni possibile trazione verso l'indietro, che frenerebbe il movimento in avanti, e di una redine di appoggio (sul collo) esterna, che "chiude la porta" dalla parte opposta. Più si tengono le mani separate fra di loro e più è chiara la direzione per il cavallo, e questa è una cosa di cui tenere conto specialmente con i cavalli nelle prime fasi di addestramento o con i cavalli particolarmente difficili da guidare.

Un cavallo perfettamente addestrato, peraltro, è in grado di essere guidato con le redini tenute in mani molto vicine fra di loro o addirittura tenute in una sola mano. Le funzioni delle mani sono dunque molteplici: dare la direzione al cavallo; creare la decontrazione della bocca; eseguire la mezza fermata (azione repentina verso l'alto con successiva discesa di mano, cfr. de La Guérinière) quando necessaria, per alleggerire, per decontrarre o per alzare la testa; flettere l'incollatura, allungarla, rilevarla, abbassarla secondo le necessità del momento e le attitudini del cavallo. Il tutto con l'idea dominante di non eseguire mai una trazione da avanti a indietro, e di alzare una sola o entrambe le mani quando dobbiamo cercare di modificare l'atteggiamento della testa e del collo del cavallo, intervenendo sulla bocca senza offenderlo, per trovare il migliore equilibrio e per fare una ginnastica al meglio arrivando, in definitiva, alla messa in mano.

Con tutto ciò, partire con l'idea che le mani abbiano una funzione secondaria, rispetto alle gambe e all'assetto, significa limitare di molto le prospettive nel lavoro del cavallo, privandoci della possibilità di addestrarlo al meglio, e aumentando la probabilità di incontrare delle difficoltà serie con cavalli non particolarmente dotati morfologicamente e caratterialmente. Usare le mani con perizia (in accordo, ovviamente, con gambe e assetto) è uno degli obiettivi più importanti da perseguire per diventare cavalieri e aspirare alle vette dell'equitazione classica, che siano lavorare in Alta Scuola nella Leggerezza o compiere, per esempio, un percorso di salto ostacoli con il cavallo perfettamente agli ordini. Come il musicista usa le mani per suonare il pianoforte, così il cavaliere ha bisogno delle mani per suonare quello strumento, forse più complesso, che è il cavallo, e la sensibilità che deve avere nelle dita è la medesima.
"L'Equitazione parte dalla testa e arriva alle dita passando per il cuore" (Philippe Karl).

mercoledì 31 marzo 2010

L'assetto

Possiamo definire l'assetto come il modo, da parte del cavaliere, di disporre la propria massa sul cavallo. Esso coincide dunque con l'equilibrio, per cui non bisogna confonderlo con la posizione che invece è il modo di disporre le varie parti corporee sul cavallo.
Senza possedere un buon assetto non è possibile alcun tentativo di addestramento del cavallo da parte del cavaliere, in quanto la capacità di usare le mani e le gambe senza contrazioni e indipendentemente fra di loro dipende appunto dalla possibilità del cavaliere stesso di rimanere in equilibrio costantemente, sia a cavallo fermo che in movimento. Una volta stabilito questo, è chiaro che l'assetto, per chi inizia a praticare equitazione, è la prima cosa da imparare. La capacità di rimanere seduti (staffatura lunga, peso sulle natiche) o di andare sull'inforcatura (appoggio sulle staffe, cfr. Caprilli) - rispettivamente assetto seduto e assetto leggero - qualsiasi sia l'andatura del cavallo, qualsiasi sia la natura del terreno (salite e discese, per es.), senza attaccarsi alle redini e senza aggrapparsi con le gambe al cavallo, è fondamentale qualunque tipo di equitazione si pratichi, da quella accademica a quella di campagna, dalle monte da lavoro alle corse in pista. A questo proposito risulta insostituibile il lavoro, sia con che senza staffe, su un cavallo che abbia un'andatura regolare, tenuto alla corda da un longeur (che può essere l'istruttore), senza servirsi delle redini, per conseguire un assetto al di sopra di ogni... sospetto. Un lavoro che sarà tanto lungo quanto lo necessiterà l'allievo, perché su di esso non è possibile usare scorciatoie. Normalmente, comunque, acquisire un assetto solido, tramite un buon lavoro come quello descritto, richiede meno di 10 lezioni.
Un cavaliere dall'assetto stabile può, fin da subito, utilizzare il linguaggio degli aiuti, ossia le mani e le gambe, per cominciare a comunicare con il cavallo e condizionarne la postura, l'equilibrio, la direzione, ecc. Non c'è nessuna ragione per cui un cavaliere, sia pure alle prime armi, una volta che abbia un assetto solido, non debba giovarsi della possibilità di chiedere al cavallo una flessione laterale o uno spostamento delle anche con la gamba isolata, tant o per fare degli esempi. Compiere chilometri e chilometri di trotto sulla pista con un cavallo della scuola senza un vero obiettivo di lavoro, come si vede fare spesso nei maneggi, è alienante per il cavallo e noioso per il cavaliere, certamente controproducente per entrambi.
La scuola degli aiuti si apprende, dunque, non appena l'assetto del cavaliere è confermato. Apprendere la scuola degli aiuti significa apprendere a usare le mani e le gambe, e significa sostanzialmente imparare ad addestrare un cavallo.

Ma vediamo, ora, come l'assetto, inteso come uno degli aiuti principali, insieme alle mani e alle gambe, influisce sull'addestramento del cavallo. Si può notare che, quando il cavallo manifesta problemi di qualsiasi tipo, di messa in mano, di impulso, di mancanza di equilibrio, quasi sempre viene invocato l'assetto del cavaliere come elemento assolutamente da perfezionare. Questo è certamente vero, se il cavaliere ha quel tipo di problema. Ma, nel momento in cui siamo nella situazione di un cavaliere che ha un assetto confermato, è semmai sull'uso delle mani e delle gambe che dobbiamo concentrare l'attenzione. Infatti l'assetto non può creare la messa in mano, non può arrotondare l'incollatura, non fa "venire sotto" i posteriori e nemmeno induce la riunione. Esso semplicemente si accorda con il movimento del cavallo nel momento in cui il cavaliere porta il suo peso nella direzione del movimento. Prendiamo l'esempio della spalla in dentro: se il cavaliere, nella sua esecuzione, mette il peso all'interno, cioè dalla parte della flessione (come vuole l'equitazione convenzionale), si trova in contrasto con il movimento del cavallo, che va nella direzione opposta. AI contrario, se il cavaliere porta il peso all'esterno, egli è in perfetto accordo con il movimento del cavallo.
In pratica, se l'assetto riesce a non interferire negativamente con il lavoro del cavallo, facilitandogli la vita, è già tanto. Alcuni, per assetto, intendono "l'uso delle reni", o anche "l'uso del bacino". Con questo si arriverebbe ad influenzare positivamente il cavallo al punto da riuscire a creare impulso o addirittura a riunirlo. Ciò è impossibile, perché un individuo del peso di circa 70 kg non può, con il semplice uso del bacino, stando sopra un cavallo del peso di circa 500 kg, e con tanto di sella che separa le due entità cavallo-cavaliere, comunicare con esso in maniera tanto fine e immediata come lo possono fare due mani collegate da due redini alla bocca del cavallo o due gambe perfettamente a contatto con il suo costato. Dovrebbe sbattersi talmente sul cavallo per farsi sentire che, a quel punto... addio assetto!
Ad un elevatissimo grado di addestramento, un piccolo spostamento delle spalle, una leggera variazione di equilibrio da parte del cavaliere, possono condizionare la direzione, la locomozione o l'equilibrio del cavallo (sempre in accordo con gli aiuti mani-gambe), in maniera sempre più fine, ma non è tramite essi che arriveremo a quel livello. Sono sempre le gambe e, principalmente, le mani a fare la parte più consistente del lavoro.

In definitiva, l'assetto si può definire come "il padre di tutti gli aiuti" che, da buon padre, quando il cavaliere è stabile in sella a tutte le andature, si mette da parte per lasciare spazio ai suoi "figli", gli altri aiuti mani-gambe che, da quel momento, procedono soli, con papà che li sorveglia ma che non partecipa attivamente all'addestramento del cavallo.
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