lunedì 1 novembre 2010

Au revoir, Monsieur Karl

Era il giugno del 1999, a casa del dott. Mazzoleni (oggi e anche allora Presidente della Siaec) ebbi l’onore di incontrare un ex ecuyer del Cadre Noir della scuola di Saumur, diventato famoso negli anni appena trascorsi soprattutto per le gesta del suo stallone lusitano Odin: Monsieur Philippe Karl. Un personaggio che al primo impatto non mi destò particolare simpatia, capiva l’italiano ma non sembrava minimamente che si sforzasse di parlarlo. Mi ricordo questo particolare perché ne ero quasi infastidito, in realtà egli aveva ancora difficoltà a esprimersi correttamente. In ogni caso, da modesto istruttore di salto ostacoli, aspirante cavaliere di lavoro in piano, affamato di sapere, cultura equestre, nozioni, e tutto quanto poteva farmi crescere, sono riuscito in qualche modo a interagire con lui e a scambiare due parole. Mi pare che in quel frangente l’argomento verteva su Caprilli e l’eredità dei suoi insegnamenti.


Il giorno dopo assistetti per la prima volta alle sue lezioni. Dopo una prima fase di smarrimento in cui capivo poco o nulla di quello che succedeva in campo, mi resi quasi subito conto che il lavoro che proponeva ai suoi allievi non aveva niente in comune con quello che avevo visto fino a quel momento. Soprattutto un particolare mi saltò all’occhio: i cavalli degli allievi, montati da lui, cambiavano immediatamente in meglio, nel giro di pochi minuti, atteggiamento e andature, e alla fine della lezione anche con i propri cavalieri gli stessi cavalli non erano nemmeno parenti lontani di quelli che si vedevano all’inizio. Evidentemente il lavoro funzionava!

Dal punto di vista tecnico, spiccava questo strano uso della mano alta per chiedere la flessione laterale. Un aspetto del lavoro per me particolarmente ostico, riuscire ad arrotondare l’incollatura del cavallo, senza incappucciarlo e senza trovarmi quasi sempre con atteggiamenti di difesa o di contrarietà, vedeva in questo particolare tecnico una via d’uscita. Finalmente! Ho pensato subito che, a dispetto del personaggio, non un campione di cordialità ( si trattava di timidezza, strano ma vero) e nemmeno un tipo particolarmente coinvolgente, valeva la pena seguirlo e imparare più cose possibili da lui.

“Il maestro arriva quando l’allievo è pronto” dice un proverbio buddista, ed io ero pronto al cento per cento per lanciarmi nell’avventura della Leggerezza, che in quella calda giornata di inizio estate nella periferia di Milano mi si presentò come una visione.

Sono passati 11 anni da allora, e ne sono più di venti che Philippe Karl frequenta l’Italia, tenendo lezioni e stage. Ha passato molto tempo da noi, riscuotendo interesse e attenzione da parte di centinaia di appassionati, cavalieri, istruttori dalle estrazioni più diverse. Ma alla fine di tutti questi anni, coloro che veramente seguono i suoi insegnamenti sono relativamente pochi. All’estero, nei paesi dalla cultura equestre superiore alla nostra, come la Germania o la Svizzera, esistono schiere di istruttori e di cavalieri che adottano la sua filosofia e montano con le sue indicazioni tecniche. Per intenderci, in Germania si contano 21 istruttori diplomati della Scuola della Leggerezza, contro i tre dell’Italia, mentre la Svizzera, molto più piccola, ne ha cinque.

Forse proprio per questo, e a causa del crescente interesse nei paesi anglosassoni per la sua Scuola (il prossimo anno inizieranno nuovi corsi della SdL in Inghilterra e in Canada), Karl ha riorganizzato i suoi impegni e ha deciso di chiudere con quest’anno la sua presenza nel nostro paese, affidando a uno dei suoi allievi Istruttori, Bertrand Ravoux, l’onore e l’onere di tenere i Corsi della sua Scuola in Italia.

Una grave perdita per chi conosce Karl e apprezza il suo straordinario lavoro e i suoi fantastici metodi di insegnamento che hanno rivoluzionato e stanno rivoluzionando a livello globale il modo attuale di concepire l’equitazione, riportandola ai fasti dei grandi Maestri del passato, dei quali Karl si può considerare un degno successore e a sua volta il più grande esponente a cavallo del secondo e terzo millennio.

Ma probabilmente gli italiani non lo meritano, ed è lo stesso Karl che mi ha dato conferma di questa impressione, l’ultima volta che ho avuto modo di parlare con lui, poco più di una settimana fa.

Non lo meritiamo, e così lo perdiamo. Au revoir, Monsieur Karl.

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