mercoledì 31 marzo 2010

L'assetto

Possiamo definire l'assetto come il modo, da parte del cavaliere, di disporre la propria massa sul cavallo. Esso coincide dunque con l'equilibrio, per cui non bisogna confonderlo con la posizione che invece è il modo di disporre le varie parti corporee sul cavallo.
Senza possedere un buon assetto non è possibile alcun tentativo di addestramento del cavallo da parte del cavaliere, in quanto la capacità di usare le mani e le gambe senza contrazioni e indipendentemente fra di loro dipende appunto dalla possibilità del cavaliere stesso di rimanere in equilibrio costantemente, sia a cavallo fermo che in movimento. Una volta stabilito questo, è chiaro che l'assetto, per chi inizia a praticare equitazione, è la prima cosa da imparare. La capacità di rimanere seduti (staffatura lunga, peso sulle natiche) o di andare sull'inforcatura (appoggio sulle staffe, cfr. Caprilli) - rispettivamente assetto seduto e assetto leggero - qualsiasi sia l'andatura del cavallo, qualsiasi sia la natura del terreno (salite e discese, per es.), senza attaccarsi alle redini e senza aggrapparsi con le gambe al cavallo, è fondamentale qualunque tipo di equitazione si pratichi, da quella accademica a quella di campagna, dalle monte da lavoro alle corse in pista. A questo proposito risulta insostituibile il lavoro, sia con che senza staffe, su un cavallo che abbia un'andatura regolare, tenuto alla corda da un longeur (che può essere l'istruttore), senza servirsi delle redini, per conseguire un assetto al di sopra di ogni... sospetto. Un lavoro che sarà tanto lungo quanto lo necessiterà l'allievo, perché su di esso non è possibile usare scorciatoie. Normalmente, comunque, acquisire un assetto solido, tramite un buon lavoro come quello descritto, richiede meno di 10 lezioni.
Un cavaliere dall'assetto stabile può, fin da subito, utilizzare il linguaggio degli aiuti, ossia le mani e le gambe, per cominciare a comunicare con il cavallo e condizionarne la postura, l'equilibrio, la direzione, ecc. Non c'è nessuna ragione per cui un cavaliere, sia pure alle prime armi, una volta che abbia un assetto solido, non debba giovarsi della possibilità di chiedere al cavallo una flessione laterale o uno spostamento delle anche con la gamba isolata, tant o per fare degli esempi. Compiere chilometri e chilometri di trotto sulla pista con un cavallo della scuola senza un vero obiettivo di lavoro, come si vede fare spesso nei maneggi, è alienante per il cavallo e noioso per il cavaliere, certamente controproducente per entrambi.
La scuola degli aiuti si apprende, dunque, non appena l'assetto del cavaliere è confermato. Apprendere la scuola degli aiuti significa apprendere a usare le mani e le gambe, e significa sostanzialmente imparare ad addestrare un cavallo.

Ma vediamo, ora, come l'assetto, inteso come uno degli aiuti principali, insieme alle mani e alle gambe, influisce sull'addestramento del cavallo. Si può notare che, quando il cavallo manifesta problemi di qualsiasi tipo, di messa in mano, di impulso, di mancanza di equilibrio, quasi sempre viene invocato l'assetto del cavaliere come elemento assolutamente da perfezionare. Questo è certamente vero, se il cavaliere ha quel tipo di problema. Ma, nel momento in cui siamo nella situazione di un cavaliere che ha un assetto confermato, è semmai sull'uso delle mani e delle gambe che dobbiamo concentrare l'attenzione. Infatti l'assetto non può creare la messa in mano, non può arrotondare l'incollatura, non fa "venire sotto" i posteriori e nemmeno induce la riunione. Esso semplicemente si accorda con il movimento del cavallo nel momento in cui il cavaliere porta il suo peso nella direzione del movimento. Prendiamo l'esempio della spalla in dentro: se il cavaliere, nella sua esecuzione, mette il peso all'interno, cioè dalla parte della flessione (come vuole l'equitazione convenzionale), si trova in contrasto con il movimento del cavallo, che va nella direzione opposta. AI contrario, se il cavaliere porta il peso all'esterno, egli è in perfetto accordo con il movimento del cavallo.
In pratica, se l'assetto riesce a non interferire negativamente con il lavoro del cavallo, facilitandogli la vita, è già tanto. Alcuni, per assetto, intendono "l'uso delle reni", o anche "l'uso del bacino". Con questo si arriverebbe ad influenzare positivamente il cavallo al punto da riuscire a creare impulso o addirittura a riunirlo. Ciò è impossibile, perché un individuo del peso di circa 70 kg non può, con il semplice uso del bacino, stando sopra un cavallo del peso di circa 500 kg, e con tanto di sella che separa le due entità cavallo-cavaliere, comunicare con esso in maniera tanto fine e immediata come lo possono fare due mani collegate da due redini alla bocca del cavallo o due gambe perfettamente a contatto con il suo costato. Dovrebbe sbattersi talmente sul cavallo per farsi sentire che, a quel punto... addio assetto!
Ad un elevatissimo grado di addestramento, un piccolo spostamento delle spalle, una leggera variazione di equilibrio da parte del cavaliere, possono condizionare la direzione, la locomozione o l'equilibrio del cavallo (sempre in accordo con gli aiuti mani-gambe), in maniera sempre più fine, ma non è tramite essi che arriveremo a quel livello. Sono sempre le gambe e, principalmente, le mani a fare la parte più consistente del lavoro.

In definitiva, l'assetto si può definire come "il padre di tutti gli aiuti" che, da buon padre, quando il cavaliere è stabile in sella a tutte le andature, si mette da parte per lasciare spazio ai suoi "figli", gli altri aiuti mani-gambe che, da quel momento, procedono soli, con papà che li sorveglia ma che non partecipa attivamente all'addestramento del cavallo.

La mezza fermata

La mezza fermata, ufficialmente, così come la insegnano nelle scuole, è un'azione che si esegue con il contemporaneo uso di mani, gambe e assetto al fine di richiamare il cavallo all'attenzione in previsione di un particolare esercizio o movimento che il cavaliere si appresta a chiedere. L'azione, così fatta, dovrebbe portare il cavallo più sulle anche, a riunirsi, a essere leggero davanti, così che impegni maggiormente il posteriore ed esegua meglio tutto quello che gli si chiede.

ln realtà la mezza fermata, inventata da François Robichon de La Guèrinière (siamo nella prima metà del '700), è un'azione da svolgere con le sole mani, dal basso verso l'alto (e non da avanti a indietro con mani tenute basse), al fine di alzare, più o meno secondo l'esigenza del momento, la testa al cavallo per ottenere un cambio di equilibrio, o per staccare dalla mano il cavallo che si appesantisce sul ferro. È un'azione repentina verso l'alto che alleggerisce l'avantreno e fa dare la bocca, senza uso delle gambe e nemmeno dell'assetto, se non per il fatto che, per eseguire l'azione, il cavaliere ha bisogno di sedersi in sella rilassato.
ll contemporaneo uso dei tre aiuti, in verità, provoca incomprensione e molto spesso ribellione. Gambe alle quali il cavallo è stato addestrato a rispondere in avanti, e mani che frenano questa richiesta bloccandosi e resistendo basse (il "resistere", là dove c'è un cavallo che punta sulla mano, equivale a "tirare") sono due richieste in antitesi fra di loro percepite come incoerenti. Chi pensa che il cavallo, su una richiesta del genere, possa capire che deve alleggerirsi davanti impegnando i posteriori, commette un grave errore.

Il cavallo giovane, soprattutto, non è in grado di comprendere una mezza fermata così eseguita, dove, nello stesso momento, mani e gambe chiedono appunto due cose opposte. Esso invece capisce molto bene la mezza fermata classica sopra descritta, perché fin dall'inizio questa è in grado di migliorare l'equilibrio di un cavallo montato. Ad esempio, un soggetto che ha la tendenza ad appesantirsi sul ferro, cosa abbastanza frequente nei cavalli giovani o nei cavalli costruiti in discesa (con il garrese più basso della groppa, o con un'incollatura imponente e attaccata in basso), cerca molto spesso la "quinta gamba" e la mezza fermata ripristina immediatamente l'equilibrio senza aggredire la bocca e modificando, quando necessario, la posizione stessa dell'incollatura.

La mezza fermata classica è molto utile anche nel caso in cui il cavallo abbia la tendenza ad incappucciarsi, per rifiutare il contatto, venendo dietro la mano. Molto spesso questo atteggiamento si accompagna a una bocca ferma e contratta. La mezza fermata è in grado di ristabilire una posizione più naturale (non incappucciata), cioè una testa più o meno alta, e una bocca più mobile, condizione indispensabile per la decontrazione della mascella. La mezza fermata classica, nel caso si chieda al cavallo di togliere peso dalle mani e di portare il suo collo e la sua testa da solo, è seguita da una "discesa di mano": il cavaliere abbassa le mani alleggerendo il contatto fin quasi a non aver nulla nelle mani, verificando che appunto il cavallo si sostenga da solo. È lapalissiano sostenere che una discesa di mano si può effettuare solamente se la mano stessa si era precedentemente alzata, del resto la cosa non avrebbe ragione di essere nel caso la mezza fermata si eseguisse tirando da avanti a indietro.

La mezza fermata classica è un po' il marchio di fabbrica dell'Equitazione in Leggerezza. Il fatto che oggi sia così male applicata e male interpretata è il segno del degrado culturale a cui nel Dressage moderno, e nell'equitazione contemporanea in generale, si sta andando incontro. Riscoprire le qualità di certi principi dimenticati potrebbe essere una bella sorpresa specialmente per chi ha a cuore il proprio cavallo e il miglioramento della propria equitazione, al di là della disciplina praticata e degli obiettivi che si perseguono.
Nella sequenza filmata allegata a questo articolo, si possono vedere una serie di mezze fermate in situazioni diverse che hanno come scopo la mobilizzazione della bocca del cavallo e l'alleggerimento della mano del cavaliere. Si tratta di mezze fermate molto plateali, in quanto il cavallo in questione necessitava di una rieducazione alla mano molto chiara. Vengono eseguite rigorosamente con le redini del filetto e, anche se nel filmato non è sempre evidente a un occhio poco esperto, sono tutte seguite da una "discesa di mano".
Alla fine del lavoro il cavallo è risultato decisamente più sciolto e rilassato perché decontratto, non manifestando affatto insofferenza a queste azioni che a prima vista appaiono poco gentili, ma che, essendo eseguite verso l'alto (nessuna azione diretta sulla lingua) e senza l'apporto simultaneo delle gambe (che creerebbe disorientamento nel cavallo), risultano molto esplicative e ben accette dal cavallo.

VIDEO MEZZA FERMATA
http://www.youtube.com/watch?v=p61NdyJw5Yg

Il cavallo "teso"

Il cavallo "teso", aggettivo che qui non sta a significare agitato, preoccupato o ansioso, è un cavallo che estende volentieri l'incollatura cercando in ogni istante di portare il naso avanti, che allunga la muscolatura della schiena, che usa gli addominali, che usa il suo corpo per esprimere movimento in avanti. In ogni caso è un cavallo che si impegna.
Dal punto di vista del contatto si traduce in un cavallo che tende morbidamente, ma senza esitazioni, le redini.

Questa "tensione" positiva è importantissima perché solo con essa abbiamo la sicurezza dell'impegno del cavallo e della sua disposizione mentale completa nei confronti del cavaliere, oltre al fatto che è necessaria per mettere le basi per un lavoro in piano di alta qualità.
Anche sul salto questa "tensione" positiva è fondamentale, perché senza di essa difficilmente avremo un cavallo che usa tutti i mezzi di cui dispone nel superare un ostacolo.

Montando a cavallo e prendendo il contatto con la sua bocca, se avvertiamo la mancanza di tensione delle redini (la redine esterna principalmente) unitamente a un trotto o galoppo svogliati, significa che abbiamo a che fare con un cavallo che non si tende volentieri, che non avanza veramente (anche se di fatto risponde alla richiesta delle gambe), non si impegna sia fisicamente che mentalmente nella maniera migliore.
Il cavallo può non tendere le redini per diversi motivi: in seguito ad un lavoro precedente sbagliato, nel quale il cavallo è stato portato a rifiutare il contatto tramite incappucciamento, in tal caso esso porta il naso dietro la verticale rendendo "molle" il contatto, situazione apparentemente gradevole ma di fatto pericolosissima; oppure perché si tratta di un cavallo un po' pigro, o un po' freddo caratterialmente; o magari semplicemente perché, essendo sempre stato montato senza imboccatura, oppure senza contatto con la bocca per lungo tempo, ha sviluppato la tendenza a ritrarsi, a non usarsi.
Alla categoria dei cavalli che non si tendono volentieri appartengono anche i cavalli naturalmente molto morbidi e facili da piegare e da flettere ma flemmatici, linfatici, oppure cavalli insanguati, gentili nell'aspetto, ma timorosi del contatto, ansiosi di natura.
Attenzione, però: un cavallo che tira sulla mano, per esempio, o che è pesante nell'appoggio sembra tendere le redini (effettivamente esse sono tese), in realtà il cavallo sta opponendosi a una mano dura, contraendosi e rendendo impossibile il suo controllo. In tal caso può mettersi indietro, oppure anche scappare, che sono due situazioni opposte ma che possono convivere nello stesso cavallo.
Un lavoro sul contatto ben mirato può, consensualmente a una richiesta delle gambe di avanzare senza esitazioni (vedi l'articolo sulla lezione alla gamba), determinare una tensione delle redini che poi si traduce nell'allungamento dell'incollatura e di tutto il dorso, oltre a predisporre psicologicamente il cavallo a rimanere negli aiuti mani-gambe in ogni situazione e in ogni momento.

Il lavoro, con qualche piccola variante da caso a caso, consiste nel prendere un contatto fermo con entrambe le redini, le mani che vanno insieme verso l'alto e ben separate fra di loro (con i gomiti a contatto con il corpo) e che invitano il cavallo a reagire in senso opposto. Infatti il cavallo, di riflesso a questa richiesta, sarà provocato a tirare (letteralmente) le redini in avanti e in basso, cosa da incoraggiare avendo la prontezza di andare con le mani verso la bocca (esattamente come quello che si fa quando si segue la bocca del cavallo sul salto) mantenendo comunque il contatto.

VIDEO PASSO
http://www.youtube.com/watch?v=QyGn5tldFag

VIDEO TROTTO
http://www.youtube.com/watch?v=A9UekNEY3Os

VIDEO GALOPPO
http://www.youtube.com/watch?v=1xW4HhyrR5Y

Le mani che vogliono creare lo stesso riflesso andando da avanti a indietro non sortiscono la stessa risposta da parte del cavallo perché, agendo il filetto sulla lingua, creano insofferenza nell'animale, il quale potrà reagire irrigidendosi e opponendosi a ogni richiesta, anche rovesciando l'incollatura oppure appesantendosi sulla mano. Questo riflesso, perché di riflesso si tratta (reazione automatica a uno stimolo), così creato, ci permette, quando prendiamo il contatto, di allungare l'incollatura ogni volta che ne abbiamo bisogno, eventualmente anche per invitare il cavallo ad avanzare di più, evitando che per qualsiasi motivo esso si sottragga a una qualunque richiesta, che sia l'esecuzione di una spalla in dentro o di una appoggiata, l'avvicinamento a un ostacolo o anche, perché no, il superamento di un passaggio difficile durante una passeggiata in campagna.

La tensione delle redini si accompagna solitamente a una decontrazione della mascella, non dimenticando che, se il cavallo tende troppo le redini arrivando a strappare le stesse dalle mani del cavaliere (eventualità tutt'altro che remota), sarà una mezza fermata (vedi l'articolo sulla mezza fermata) che andremo a eseguire, per dare al cavallo il limite oltre al quale è vietato scendere verso il basso.
La lunghezza delle redini che abbiamo in mano deciderà quanto lunga e quanto bassa vogliamo che stia l'incollatura del cavallo, e questo logicamente dipende dal suo equilibrio e dalla sua conformazione. È, questo, un lavoro non semplice, perché la mano non deve tirare ma "far tirare" il cavallo, non deve far cedere ma far prendere fiducia al cavallo in essa. Questo va decisamente contro la natura della nostra mano prensile che ha l'istinto di afferrare, di tirare e di resistere, quale preroqativa esclusiva di quel predatore che è l'uomo. Ma, e questo l'equitazione naturale ce lo insegna, il predatore che è in noi deve mettersi da parte per lasciare spazio a un rapporto basato su una comunicazione fra congeneri, cosa indispensabile da ricordarsi anche quando si entra in meccanismi tecnici così sottili come ce ne sono nell'equitazione classica.

Discesa di mano

Della discesa di mano parla François Robichon de La Guérinière nel suo capolavoro “Ecole de cavalerie” del 1733: “…prendere le redini con la mano destra,al di sopra della mano sinistra, e lasciando un po’ le redini nella mano sinistra si fa passare la sensazione del morso nella mano destra e, infine, abbandonando del tutto le redini che erano nella mano sinistra, si abbassa la mano destra sul collo del cavallo; e allora il cavallo si trova del tutto libero, senza morso. Quest’ultimo modo di rendere la mano si chiama 'discesa di mano'…un aiuto dei più sottili e dei più utili per la cavalleria".
Siamo in un’epoca dove il cavallo è montato con il solo morso (no filetto) e le redini vengono tenute in una sola mano, la sinistra.
Il procedimento è chiaro: c’è l’intervento della mano destra ,che si trova quindi a prendere entrambe le redini, che erano tenute anche dalla mano sinistra. Poi la mano sinistra lascia tutto e la destra con le due redini si abbassa per concludere l’operazione della resa completa delle redini.Così il cavallo si trova senza contatto sul morso.
“Il momento giusto per fare questo movimento è dopo aver marcato una mezza-fermata” aggiunge La Guérinière. Mezza-fermata che non è quella attuale, ufficiale, insegnata oggi nella scuole di equitazione dove c’è un contemporaneo quanto nefasto uso di tutti gli aiuti (mani ,gambe e assetto), ma un procedimento di sole mani che sfocia appunto nella discesa di mano.
Chiaramente oggi, quasi 400 anni dopo, noi ci serviamo del filetto e delle redini tenute in due mani separate, ma il procedimento consiste sempre in mani che vanno verso il basso e lasciano il cavallo in “libertà sulla parola”, parte finale della mezza fermata.

Doping


Sulla rivista "Cavalli e Cavalieri" del mese di agosto 2009 è apparso, nelle ultime pagine, un articoletto striminzito che denuncia la sospensione dell'amazzone Isabell Werth, nota campionessa di dressage, per doping del suo cavallo (Fluphenazina, un calmante).

La rivista precisa che "un altro macigno si abbatte sull'equitazione tedesca in questo momento già difficile. L'intero movimento del dressage tedesco è sotto shock".

Stiamo parlando di un fatto grave, di un intero movimento che è sotto shock, e la rivista in questione mette la notizia a pag. 119, con poche righe a liquidare la faccenda.
La cosa più giusta sarebbe stata quella di dedicare alla cosa un servizio di alcune pagine da mettere all'inizio del giornale, e magari sbattere in copertina la notizia stessa.
Invece la cosa passerà più o meno inosservata e tutto finirà nel dimenticatoio.

Come sono finiti nel dimenticatoio, per esempio, i fatti di Pechino dove nel salto ostacoli sono stati squalificati diversi cavalieri per trattamenti illeciti ai propri cavalli, uno dei quali è Rodrigo Pessoa, già osannato ultimamente a Piazza di Siena per la sua vittoria nel Gran Premio.

La FEI fa poco o nulla per arginare la piaga del doping, ma anche i mezzi di informazione minimizzano la faccenda, banalizzando queste situazioni, perché se un ambiente perde credibilità a rimetterci sono anche le riviste di settore, evidentemente.

Tornando alla Werth, non è l'unica che somministra calmanti al proprio cavallo, lei rappresenta solo la punta di un iceberg di un mondo nel quale là dove non arriva l'addestramento può la farmacologia.

In generale, quando si somministra un calmante al proprio cavallo, si suggella il fallimento del proprio addestramento.

Metafora

"Una metafora (già impiegata da Dominique Ollivier)...: la testa e l'incollatura sono la "porta" per la quale si prende possesso della "casa" cavallo. La bocca è la fragile "serratura" di questa "porta"...e la cessione della mascella ne è la "chiave" "(da "Derives du Dressage Moderne" P. Karl).
Attraverso la messa in mano e in particolare la cessione della mascella noi possiamo entrare nella...casa-cavallo senza abbattere a spallate la suddetta "porta", quello che succede praticamente ogni volta che qualcuno pensa ci sia la necessità di lavorare il cavallo attraverso redini ausiliarie, chiudibocca stretti e imboccature forti.
E chi pensa questo è la maggior parte della gente che monta a cavallo nella maniera usuale con l'ambizione di addestrarlo.
La messa in mano classica, ben studiata e applicata, al contrario, ci permette di entrare nella casa-cavallo con discrezione e con la certezza di essere ricevuti come ospiti ben graditi.
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