venerdì 15 aprile 2011

Il segno dei tempi

Un concorso ippico, un percorso di salto ostacoli, il cavallo che prende la mano, l’amazzone che cerca disperatamente di controllarlo, lui che parte un tempo prima, lei appesa, lui che cade dentro un largo, lei espulsa con veemenza dalla sella, entrambi a terra, barriere e pilieri da tutte le parti, lei si rialza, lui no. Il cavallo ha battuto la testa e ha rotto l’osso del collo. Il cavallo è morto.

Una scena inconsueta ma non per questo priva di gravità, una scena terribile raccontata dalla penna di Umberto Martuscelli, da un articolo su “Cavallo Sport”(Febbraio 2011). Che continua così:

“…saltare un ostacolo può essere pericoloso. Per il cavaliere, per il cavallo.
Con una differenza, però: il cavallo non sceglie di saltare, lui lo fa perché noi lo induciamo a farlo. Ecco perché nei suoi confronti il rispetto di tutti noi esseri umani deve essere centuplicato: vedere un cavallo a terra morto perché un salto o un insieme di salti non sono stati affrontati nel modo giusto (giusto per il cavallo e giusto anche per il cavaliere, s’intende: che la scena sopra descritta per un nulla non è terminata con una doppia tragedia… ) è un atto di accusa che si ritorce contro di noi con una violenza perfino superiore a quella che ha spaccato il collo di quel povero animale.
Contro di noi e contro la nostra fretta, contro la nostra smania di accelerare tutto, di far fare cose a chi non è in grado di farle, contro la follia di un sistema che vuole alterare qualunque naturale equilibrio in nome del dio denaro e contro tutti quelli che questo sistema fanno vivere senza scrupoli o forse solo senza coscienza, senza competenza, senza intelligenza, istruttori che non sanno insegnare, genitori che non sanno educare, dirigenti che non sanno dirigere, ragazzi che non sanno pensare, contro tutto questo si è scagliata la violenza della morte di quel povero cavallo: lui a terra, morto, immobile, la sua vita finita e noi qui, a scrivere per raccontare la sua morte.
Una cosa deve essere chiara: montare bene non è facile, ma montare bene è la prima forma di rispetto nei confronti del cavallo e anche la prima forma di autotutela nei confronti di spiacevoli incidenti.
Non tutti possono montare bene: ma tutti dovrebbero essere in grado di capire se una certa cosa si è in grado di farla oppure no. O al più essere affiancati da qualcuno che sia in grado di capirlo. Ma di capirlo veramente.”

Già, montare bene. A questo proposito ancora un estratto da un altro suo articolo che potrebbe essere la continuazione naturale di questo (Cavallo Sport, 2010):

“…oggi un allievo non finisce la prima ora di lezione alla corda che già gli si compra la giacca da gara… Il drammatico equivoco di fondo oggi è questo. Oggi si intende moderno e al passo con i tempi parlare di cose senza considerarne le premesse. In sostanza: è del tutto inutile preoccuparsi di linee, distanze, imboccature, redini e controredini se il mio allievo non sta in sella.
E’ più importante il numero di passi all’interno di una dirittura o la giusta inforcatura? E’ più importante scegliere l’imboccatura o saperla usare? Dobbiamo ammetterlo: oggi in Italia i ragazzi montano mediamente male. A livello proprio di base, a livello elementare.
Ma siccome il mercato impone le sue regole – i centri devono aumentare il numero di patentati, i concorsi il numero degli iscritti, i commercianti quello dei cavalli venduti, i trainer privati quello dei cosiddetti clienti, e via discorrendo – ecco allora che bisogna accelerare.
Accelerare tutto: un ragazzo va in concorso prima ancora di capire cosa è l’equitazione, compra un cavallo prima ancora di capire quanto costa, passa al livello superiore prima ancora di aver vinto qualcosa a quello inferiore, diventa a sua volta istruttore prima ancora di aver imparato qualcosa…
Questa è la realtà. E l’effetto purtroppo è sotto gli occhi di tutti. Parlare del giusto assetto e del tallone basso e della corretta inforcatura non vuol dire essere vecchi e antiquati e polverosi e rimbambiti: vuol dire al contrario parlare di qualcosa che serve per montare meglio e – quindi – per ottenere migliori risultati.
Tecnica non vuol solo dire “ho fatto sei tempi invece di sette”: vuol dire prima di tutto essersi impadroniti degli strumenti giusti. Ma prima quello che viene prima, e dopo quello che viene dopo…”

E’ bello che queste parole vengano da un profondo conoscitore degli sport equestri e del salto ostacoli nazionale e internazionale come Umberto Martuscelli, giornalista di dichiarata fama, speaker ufficiale dei più grandi eventi equestri che si svolgono in Italia.
E’ bello perché si tratta di qualcuno che vive dentro alle problematiche di questo sport, che vive delle cose di questo sport, ma è qualcuno che si mette una mano sulla coscienza e pensa seriamente a quanto di malato c’è in questo “sistema”,con le sue regole, i suoi tempi, le sue logiche, che non sono per niente le regole, i tempi, le logiche dei cavalli e della qualità dell’insegnamento e dell’addestramento.

Perché non si sa più quali sono i tempi giusti di lavoro, per il cavallo e per il cavaliere, quali sono le regole naturali che governano i comportamenti dei cavalli, quali sono le logiche in una progressione di lavoro dove si dovrebbe andare dal facile al difficile, dal semplice al complicato. In un mondo dove l’ignoranza (l’arte di ignorare le cose) la fa da padrona, un mondo fatto di “ istruttori che non sanno insegnare, genitori che non sanno educare, dirigenti che non sanno dirigere, ragazzi che non sanno pensare”.Un mondo che è un po’ lo specchio dei tempi in cui viviamo.

Perché “montare bene non è facile, ma montare bene è la prima forma di rispetto nei confronti del cavallo”,là dove la parola rispetto è sulla bocca di tutti, anche di quei pseudo-professionisti che non fanno un minimo sforzo per migliorare le proprie competenze.

Questo è un sistema che crea gente “senza coscienza, senza competenza, senza intelligenza”, un sistema dove i cavalli sono i primattori e al tempo stesso le vittime innocenti e inconsapevoli.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Veramente bello questo intervento: se c'è una cosa davvero fantastica di questo blog è che quando lo leggo mi sento in ottima compagnia e non la solita svitata dalle idee retoriche e antiquate. Nico

Halima ha detto...

Amarezza, tristezza e rabbia... Monto da quando avevo 10 anni, ora ho superato i trenta. Per passione perchè non mi sono mai potuta permettere altro. Ho avuto, per mia fortuna, come maestri, i più grandi che l'equitazione italiana dei tempi d'oro abbia mai conosciuto. Con loro il lavoro era duro, breve ogni volta, ma intenso. Li ringrazio per quello chei hanno trasmesso, amore e passione, non amore per i primi posti e le medaglie. Prima di tutto il rispetto per quel grande essere che, da preda, si fa cavalcare da noi. Ho saltato il primo ostacolo dopo circa un anno che montavo seriamente. Senza imboccatura. Un purosangue inglese di 8 anni recuperato dalle corse e a rischio macello. Ne ho addestrati, allenati e recuperati tantissimi grazie agli insegnamenti di queste grandi esseri umani. Ne ho visti morire in tanti nelle mani di incapaci senza cuore con il portafogli pieno e il cuore vuoto. Fruste, speroni, sangue alla bocca per le continue strattonate. Ulcere in bocca e fianchi bucati. In concorso orgogliosi di essere i primi e pieni di pomposità arrogante quando facevo assaporare ai loro cavalli un pò di sole ed erba fresca... Non ho scelto la strada dell' agonismo per passione verso questi splendidi animali. Volevo far diventare questa mia passione un lavoro ma se non hai il famoso portafoglio gonfio le strade sono chiuse. Per me non è sport, è amore puro. Sono lacrime che sgorgano quando li vedo prigionieri in box di tre metri per tre... Anche il più grande prato a me sembra infinitamente piccolo... Non posso farci niente, mi fanno battere il cuore... La loro essenza mi fa battere il cuore....

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