sabato 19 giugno 2010
Le redini ausiliarie
Un allievo ha un problema con il suo cavallo, non lo controlla, oppure non riesce a girare, o magari esso tiene la testa così alta che diventa difficile fare qualsiasi cosa. L’istruttore in molti casi attribuisce questo al fatto che l’allievo in questione “non ha abbastanza gambe”, oppure che è un problema di assetto. Le mani non vengono prese in causa, eppure sono loro quelle che sono collegate con la bocca del cavallo, forse dipende da quelle l’insofferenza del cavallo… ah sì, parliamo di un cavallo che non risulta affetto da problemi di schiena e vede il dentista due volte all’anno, giusto per sgomberare il campo da dubbi che ogni volta assalgono chi ha un problema di addestramento e non di salute.
Bene, delle mani l’istruttore non ne parla. Del resto, oltre che devono stare basse, vicine e ferme, non saprebbe cosa dire. Dunque il problema è la mancanza di gambe o di assetto.
Risultato: mettiamo alla bocca del cavallo due belle redini di ritorno… tenute dalle mani! A nessuno viene in mente di metterle agli stivali del cavaliere o alla sua cintura visto che il problema sono le gambe o l’assetto!
Così il cavallo tiene la testa a posto, qualche volta diviene più guidabile e manifesta una apparente sottomissione, nella maggior parte dei casi però va a incappucciarsi (ma questo non sembra preoccupare nessuno, anzi è un motivo di soddisfazione).
Le cosiddette redini ausiliarie sono sempre più diffuse nei campi di lavoro, fra gli addestratori, fra i cavalieri, fra gli istruttori.
Spesso consigliate dagli esperti, per qualcuno sono risolutive, per altri sono indispensabili.
Bisognerebbe in ogni caso sentire il punto di vista dei cavalli al riguardo, perché loro ne farebbero volentieri a meno: la sensazione di claustrofobia, le posizioni innaturali tenute per lungo tempo, i dolori muscolari che ne conseguono, tutto questo ne squalificherebbe l’uso metodico, anche quando è accorto.
Le redini di ritorno, o redini tedesche, in particolare, sono le redini ausiliarie più popolari e usate, ma a volte vengono preferite le redini elastiche, o le redini fisse, in particolare per il lavoro alla corda.
Molto usate sono anche le redini gogue e chambon, le prime per il cavallo montato, le seconde per il lavoro alla corda. Vengono considerate meno costrittive e più “virtuose” delle redini di ritorno, in qualche caso infatti provocano e facilitano nel cavallo l’estensione dell’incollatura, che è uno degli obiettivi dell’addestramento, ma hanno una serie di controindicazioni quali la loro specificità solo per un certo tipo di cavalli, il fatto che a volte peggiorano la situazione anziché migliorarla, e spesso accade che quando si tolgono si torna al punto di partenza, cavallo con la testa all’aria e ingestibile.
La posizione della Scuola della Leggerezza su questi aspetti è molto chiara: è la messa in mano la cosa da ricercare ed è un compito esclusivo della mano; le gambe e l’assetto non concorrono affatto al suo conseguimento.
La decontrazione della bocca, lo studio delle flessioni, l’utilizzo delle mezze fermate classiche, il lavoro di azione-reazione per i cavalli che non tendono le redini (vedi post precedenti), questi sono gli “strumenti” di cui si serve il cavaliere, una competenza della mano che va acquisita giorno per giorno e che permette a chi la sviluppa di poterla utilizzare con qualsiasi cavallo di qualsiasi razza e morfologia.
Baucher sosteneva che “tanto più grande è la competenza del cavaliere, tanto più piccolo è il suo armadio”, e si riferiva ovviamente agli strumenti di questo tipo.
La Guérinière considerava il fatto che “non vi è niente al di fuori delle risorse del cavaliere”, in un’epoca nella quale le redini di ritorno già esistevano.
Anche la storiella che le redini di ritorno possono essere usate senza problemi ma solo da chi è cavaliere esperto, non regge, perché chi è cavaliere esperto in realtà non avrebbe bisogno di usarle.
Chammartin, già olimpionico di dressage, parlava delle “redini di ritorno solo in mano a un artista, che in quanto tale però ne può fare a meno”.
La verità è che costituiscono per molti un palliativo, un mezzo di contenimento e di controllo autoritario del cavallo, spesso brutale, sicuramente sbrigativo, quando non si riesce ad ottenere la messa in mano.
Imparare l’uso delle mani e conseguire un corretta messa in mano con qualsiasi cavallo è un lavoro che richiede tempo, applicazione, costanza e, ovviamente, conoscenza, componenti che stanno scomparendo dai requisiti dell’addestratore moderno, che cerca il risultato immediato e senza sforzo.
Ma il mondo equestre attuale spinge a non considerare le mani come il più importante degli aiuti, arrivando a negarne quasi il ruolo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, le redini ausiliarie spopolano (peraltro con grande gioia di chi le vende), oltre a una presenza sempre più massiccia di capezzine speciali con chiudibocca, imboccature forti e uso indiscriminato di farmaci per gestire cavalli altrimenti inguidabili e ingovernabili.
Bene, delle mani l’istruttore non ne parla. Del resto, oltre che devono stare basse, vicine e ferme, non saprebbe cosa dire. Dunque il problema è la mancanza di gambe o di assetto.
Risultato: mettiamo alla bocca del cavallo due belle redini di ritorno… tenute dalle mani! A nessuno viene in mente di metterle agli stivali del cavaliere o alla sua cintura visto che il problema sono le gambe o l’assetto!
Così il cavallo tiene la testa a posto, qualche volta diviene più guidabile e manifesta una apparente sottomissione, nella maggior parte dei casi però va a incappucciarsi (ma questo non sembra preoccupare nessuno, anzi è un motivo di soddisfazione).
Le cosiddette redini ausiliarie sono sempre più diffuse nei campi di lavoro, fra gli addestratori, fra i cavalieri, fra gli istruttori.
Spesso consigliate dagli esperti, per qualcuno sono risolutive, per altri sono indispensabili.
Bisognerebbe in ogni caso sentire il punto di vista dei cavalli al riguardo, perché loro ne farebbero volentieri a meno: la sensazione di claustrofobia, le posizioni innaturali tenute per lungo tempo, i dolori muscolari che ne conseguono, tutto questo ne squalificherebbe l’uso metodico, anche quando è accorto.
Le redini di ritorno, o redini tedesche, in particolare, sono le redini ausiliarie più popolari e usate, ma a volte vengono preferite le redini elastiche, o le redini fisse, in particolare per il lavoro alla corda.
Molto usate sono anche le redini gogue e chambon, le prime per il cavallo montato, le seconde per il lavoro alla corda. Vengono considerate meno costrittive e più “virtuose” delle redini di ritorno, in qualche caso infatti provocano e facilitano nel cavallo l’estensione dell’incollatura, che è uno degli obiettivi dell’addestramento, ma hanno una serie di controindicazioni quali la loro specificità solo per un certo tipo di cavalli, il fatto che a volte peggiorano la situazione anziché migliorarla, e spesso accade che quando si tolgono si torna al punto di partenza, cavallo con la testa all’aria e ingestibile.
La posizione della Scuola della Leggerezza su questi aspetti è molto chiara: è la messa in mano la cosa da ricercare ed è un compito esclusivo della mano; le gambe e l’assetto non concorrono affatto al suo conseguimento.
La decontrazione della bocca, lo studio delle flessioni, l’utilizzo delle mezze fermate classiche, il lavoro di azione-reazione per i cavalli che non tendono le redini (vedi post precedenti), questi sono gli “strumenti” di cui si serve il cavaliere, una competenza della mano che va acquisita giorno per giorno e che permette a chi la sviluppa di poterla utilizzare con qualsiasi cavallo di qualsiasi razza e morfologia.
Baucher sosteneva che “tanto più grande è la competenza del cavaliere, tanto più piccolo è il suo armadio”, e si riferiva ovviamente agli strumenti di questo tipo.
La Guérinière considerava il fatto che “non vi è niente al di fuori delle risorse del cavaliere”, in un’epoca nella quale le redini di ritorno già esistevano.
Anche la storiella che le redini di ritorno possono essere usate senza problemi ma solo da chi è cavaliere esperto, non regge, perché chi è cavaliere esperto in realtà non avrebbe bisogno di usarle.
Chammartin, già olimpionico di dressage, parlava delle “redini di ritorno solo in mano a un artista, che in quanto tale però ne può fare a meno”.
La verità è che costituiscono per molti un palliativo, un mezzo di contenimento e di controllo autoritario del cavallo, spesso brutale, sicuramente sbrigativo, quando non si riesce ad ottenere la messa in mano.
Imparare l’uso delle mani e conseguire un corretta messa in mano con qualsiasi cavallo è un lavoro che richiede tempo, applicazione, costanza e, ovviamente, conoscenza, componenti che stanno scomparendo dai requisiti dell’addestratore moderno, che cerca il risultato immediato e senza sforzo.
Ma il mondo equestre attuale spinge a non considerare le mani come il più importante degli aiuti, arrivando a negarne quasi il ruolo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, le redini ausiliarie spopolano (peraltro con grande gioia di chi le vende), oltre a una presenza sempre più massiccia di capezzine speciali con chiudibocca, imboccature forti e uso indiscriminato di farmaci per gestire cavalli altrimenti inguidabili e ingovernabili.
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