martedì 6 aprile 2010
Mani e gambe
Esistono delle definizioni, dei procedimenti e delle convinzioni nel mondo equestre assai popolari e condivise da tutti. Ne prendiamo in esame alcune spiegando come e perché la Scuola della Leggerezza prenda le distanze da questi che considera dei veri e propri dogmi dell’equitazione moderna.
Definizione di messa in mano, molto popolare e condivisa da tutto il mondo equestre: la messa in mano si ottiene attraverso una attivazione dei posteriori tramite le gambe che spingono in avanti il cavallo e creano impulso, e una contemporanea presa di contatto della mano con la bocca del cavallo. L’impulso, passando attraverso la schiena e il garrese, arriva alla bocca e alla mano del cavaliere che lo regola, lo filtra, lo raccoglie. Il cavallo va ad arrotondarsi, ad ammorbidirsi, risultando leggero.
Questa definizione descrive una situazione assai improbabile, difficile da verificarsi salvo forse in soggetti particolarmente dotati, con una morfologia ed un equilibrio fisico e mentale eccezionali.
Bisogna considerare il punto di vista del cavallo, allora si comprende come per lui questo procedimento normalmente sia fuori dalla logica.
Una mano bassa che resiste non ha niente di diverso da una mano che tira quando il cavallo è sollecitato ad andare su di essa dalle gambe, anche se la mano non opera veramente una trazione da avanti a indietro. Questa infatti per il cavallo significa pressione costante del ferro sulla lingua, di fatto un freno permanente. Ora, un cavallo che non è stato educato a comprendere la mano del cavaliere e l’imboccatura attraverso un lavoro specifico, isolato e mirato sulla bocca, tramite per esempio una cessione della mascella, non capisce il significato di questa tensione che si crea in bocca mentre viene spinto in avanti dalle gambe. Parliamo infatti di due azioni per che il cavallo significano due richieste in antitesi fra di loro.
Un cavallo non è fatto per sfondare muri e porte. Per non dovere continuamente “dare le gambe” per farlo camminare, non chiudetegli la porta davanti al naso. Solo allora voi non dovrete più tentare di sfondare a colpi di tallone la porta che le vostre mani chiudono.
(tratto da: “Equitazione figurata” di Pierre Chambry e Jean Licart, Siaec)
Caso analogo, nella mezza fermata ufficialmente riconosciuta, gli aiuti mani, gambe ed assetto agiscono simultaneamente, situazione appunto non dissimile da quella che serve a mandare il cavallo nella mano. Anche in questo caso c’è contemporaneità nell’uso di aiuti che hanno un significato diametralmente opposto. Inoltre l’assetto, inteso come uso del bacino, non ha il potere che gli si attribuisce di essere in grado di provocare l’impegno dei posteriori, salvo forse nel caso in cui si monta il cavallo a pelo… ma anche così per lui questa azione è sinonimo solo di un cavaliere che si agita in sella.
Altra situazione tipica, quella di usare le gambe nelle transizioni a scendere con l’idea di far venire i posteriori sotto alla massa. Ancora dal punto di vista del cavallo, pratica insensata perché ancora una volta si tratta di messa in gioco di aiuti contraddittori fra di loro.
Insomma il cavallo, anziché andare nella mano, o rilevare morbidamente l’incollatura, o eseguire transizioni fluide, prestando attenzione al cavaliere in maniera fiduciosa, si sente costretto fra mani e gambe e sorgono guai di ogni genere: per esempio, comincia a rovesciare sempre più l’incollatura per sottrarsi al dolore provocato dal filetto sulla lingua, oppure, essendo portato ad appesantirsi, diventa sempre più forte sulla mano fino a rendere impossibile il suo controllo, e ancora, avendo un freno costante sulla bocca, inizia a non rispondere più alle gambe.
Ecco il perché di tanti problemi in questo ambito, il perché dell’uso delle imboccature più svariate, di redini ausiliarie di tutti i tipi (di ritorno, elastiche, gogue, chambon, ecc.), di chiudibocca sempre più stretti.
Ancora una pratica comune di molti cavalieri, specie di medio-alto livello, è quella di cercare la riunione spingendo il cavallo in avanti con le gambe e assetto, e trattenendo con le mani, con l’idea di far venire i posteriori sotto la massa e alleggerendo così il treno anteriore (il garrese dovrebbe alzarsi e l’incollatura rilevarsi).
Anche questa idea, fra l’altro molto suggestiva ma, secondo i principi della Scuola della Leggerezza, assolutamente falsa e non attinente alla realtà, presenta le stesse problematiche di cui accennato fino ad ora.
In primo luogo, questo procedimento, infatti, induce i cavalieri a prendere un contatto deciso con la bocca del cavallo (redini tese) con le mani basse, e contemporaneamente ad attivare continuamente le gambe. Da ciò consegue che il cavallo si sente chiedere dal cavaliere di andare avanti e nello stesso tempo di rimanere sul posto da mani che resistono ma che, rimanendo basse, di fatto tirano.
Questa, ancora una volta, è una messa in gioco di aiuti contradditori fra di loro, che portano il cavallo a non capire più cosa si vuole da lui: andare avanti o rimanere sul posto? In questa situazione in lui cresce l’ansia, l’irrigidimento, e nascono atteggiamenti di insofferenza alla mano e di difesa come digrignamento di denti, lingua penzolante, forte peso sulle braccia, ecc., oppure il cavallo si mette indietro, scarta, va in fuga, si impenna, ecc.
Rappresentazioni dell'impulso secondo l'equitazione ufficiale, immagini suggestive ma prive di fondamento. Questa idea crea di fatto un'equitazione basata sullo "spingere e il tirare", oltre a cavalli sottoposti continuamente a compressione (che non è riunione).
In secondo luogo, quello che si ottiene, quando il cavallo per qualche motivo subisce silenziosamente questa che si può considerare una vera e propria tortura, è compressione, e non certo riunione, e si accompagna quasi sempre ad un grado più o meno elevato di incappucciamento, ossia la posizione del collo e della testa molto bassa e il naso dietro la verticale o addirittura al petto. Il cavallo è contratto perché sotto pressione, quindi la decontrazione, ingrediente indispensabile della riunione, è inesistente. Questa contrazione muscolare, di fatto accorciamento della muscolatura, è in antitesi con l’allungamento dei muscoli dorsali e dell’incollatura, prerequisito indispensabile per la riunione stessa.
Inoltre, la riunione avviene quando il cavallo, abbassando le anche e portando i posteriori sotto la massa, trasferisce il suo baricentro indietro. Nella compressione invece accade che il cavallo si appesantisce davanti affossando il garrese fra le spalle.
È evidente quindi che siamo lontani da una qualsiasi idea di riunione nel senso classico del termine, anche se oggi viene comunemente accettata come tale anche quella situazione dove appunto il cavallo è incappucciato, contratto, sulle spalle. Chiaro segnale di una deriva tecnica e culturale in atto nel mondo equestre.
La Scuola della Leggerezza propone una visione opposta e antitetica sia per quello che riguarda la messa in mano che per ciò che riguarda la progressione per arrivare alla riunione.
Essa prevede che il punto di partenza del lavoro sia situato nella parte anteriore del cavallo, e non in quella posteriore, con particolare riferimento alla bocca, fonte della maggior parte delle difese e dei problemi legati proprio alla ricerca della messa in mano e, di conseguenza, della riunione.
Questa visione trae origine dalle scoperte di François Baucher (1796-1873) il quale, operando una vera e propria rivoluzione copernicana dell’equitazione, cominciò a considerare la riunione come risultato (e passaggio successivo) della decontrazione e della messa in mano, in opposizione alla visione fino ad allora comunemente accettata che considerava la riunione una premessa indispensabile per arrivare alla messa in mano e alla decontrazione totale.
In particolare egli individuava nella decontrazione della bocca (e della mascella) e nella flessibilità dell’incollatura le premesse indispensabili per portare il cavallo nella mano e prerogativa indispensabile per arrivare a riunirlo, mettendo a punto un sistema che invertiva completamente il principio che tutto partirebbe dai posteriori, dalla spinta da dietro e come conseguenza si migliorerebbe il davanti, ossia la leggerezza alla mano e l’equilibrio generale, fino ad arrivare alla riunione.
A questo proposito occorre sottolineare il fatto che nel cavallo la necessità di essere rilassato e flessibile, prima di impegnarsi in una ginnastica e in esercizi difficili che richiedono contrazione muscolare, è perfettamente in linea con le esigenze della fisiologia del muscolo in preparazione allo sforzo fisico, come ben sanno allenatori e preparatori di atleti degli sport più diversi. Viene da chiedersi come mai per l’atleta-cavallo le cose dovrebbero essere differenti.
Altro concetto fondamentale del Baucher “seconda maniera” ed espresso in modo ineccepibile dai suoi successori Etienne Beudant e François Faverot de Kerbrecht, era il famoso “mani senza gambe, gambe senza mani”. Questo concetto di importanza capitale è oggi praticamente ignorato e utilizzato inconsapevolmente solo da qualche cavaliere di talento. In termini pratici:
- usare le gambe (supportate da un eventuale aiuto accorto e intelligente della frusta), avendo cura di andare avanti con le mani, lasciando per così dire libera la strada davanti al cavallo;
- non cercare ad ogni costo di “raccogliere”, tramite una tensione costante e prolungata di redini tese con mani basse, l’impulso che si è venuto a creare ma lasciare che il cavallo esprima il movimento in avanti;
- usare le mani, meglio se portandole verso l’alto, in assoluta assenza di gambe, quando si tratta di rallentare il cavallo, o di fermarlo, o di eseguire una mezza fermata.
Con soggetti giovani all’inizio dell’addestramento, la scuola degli aiuti diventa così materia comprensibile e interessante, il cavallo non va in confusione e non viene disgustato da essi, e l’equitazione diventa veramente piacevole per lui e per il suo cavaliere.
La mezza fermata classica, quella proposta da François Robichon de La Guérinière (1688-1751), prevede il solo uso delle mani, peraltro dal basso verso l’alto, niente a che vedere da quella praticata ed insegnata oggi. L’assoluta assenza di gambe ne è la caratteristica principale, e si usa generalmente per alleggerire alla mano un cavallo che tende ad appesantirsi sul davanti, e non per richiamarne l’attenzione in vista di un esercizio. La mano non opera trazione da avanti a indietro ma agisce verso l’alto, anche in questo caso agendo sulla commessura labiale, risparmiando la lingua del cavallo, e finisce la sua azione con una discesa di mano cioè la mano si riabbassa lasciando pressoché libero il cavallo, per verificare che esso sostenga la sua incollatura da solo.
La riunione, infine, arriva alla fine di un percorso non facile e non breve (questo dipende dall’esperienza del cavaliere), scandito da un approfondito lavoro su due piste, con particolare attenzione alla spalla in dentro, dalle transizioni, dallo studio dei passi indietro e infine, dal curare le transizioni stesse a un livello sempre più alto, giungendo al piaffer, che è un po’ la prova del nove della riunione e del buon lavoro fatto fino a quel momento. A questo livello gli aiuti mani e gambe hanno già iniziato a combinarsi fra di loro e a sovrapporsi, ma c’è da sottolineare che il cavallo a questo punto ha imparato in tutti i suoi aspetti più sottili il significato delle gambe (alla cinghia, arretrate) e della mano (decontrazione della bocca, flessioni, mezze fermate) quindi dispone di una scuola degli aiuti eccellente.
Così come il bambino a scuola impara le lettere dell’alfabeto (mani, gambe e assetto) e poi inizia a disporle per formare le parole (transizioni, lavoro su due piste) e infine a combinare le parole per formare frasi (riunione).
Insomma, lo studio della riunione è un processo lento e impegnativo, che richiede tempo e dedizione, e non si risolve nel mettere sbrigativamente il cavallo fra mani e gambe, contando magari solo sulla qualità del cavallo, ma è una meta ambita e sudata di chi tiene in considerazione l’aspetto fisico, morale e mentale del proprio cavallo.
Definizione di messa in mano, molto popolare e condivisa da tutto il mondo equestre: la messa in mano si ottiene attraverso una attivazione dei posteriori tramite le gambe che spingono in avanti il cavallo e creano impulso, e una contemporanea presa di contatto della mano con la bocca del cavallo. L’impulso, passando attraverso la schiena e il garrese, arriva alla bocca e alla mano del cavaliere che lo regola, lo filtra, lo raccoglie. Il cavallo va ad arrotondarsi, ad ammorbidirsi, risultando leggero.
Questa definizione descrive una situazione assai improbabile, difficile da verificarsi salvo forse in soggetti particolarmente dotati, con una morfologia ed un equilibrio fisico e mentale eccezionali.
Bisogna considerare il punto di vista del cavallo, allora si comprende come per lui questo procedimento normalmente sia fuori dalla logica.
Una mano bassa che resiste non ha niente di diverso da una mano che tira quando il cavallo è sollecitato ad andare su di essa dalle gambe, anche se la mano non opera veramente una trazione da avanti a indietro. Questa infatti per il cavallo significa pressione costante del ferro sulla lingua, di fatto un freno permanente. Ora, un cavallo che non è stato educato a comprendere la mano del cavaliere e l’imboccatura attraverso un lavoro specifico, isolato e mirato sulla bocca, tramite per esempio una cessione della mascella, non capisce il significato di questa tensione che si crea in bocca mentre viene spinto in avanti dalle gambe. Parliamo infatti di due azioni per che il cavallo significano due richieste in antitesi fra di loro.
Un cavallo non è fatto per sfondare muri e porte. Per non dovere continuamente “dare le gambe” per farlo camminare, non chiudetegli la porta davanti al naso. Solo allora voi non dovrete più tentare di sfondare a colpi di tallone la porta che le vostre mani chiudono.
(tratto da: “Equitazione figurata” di Pierre Chambry e Jean Licart, Siaec)
Caso analogo, nella mezza fermata ufficialmente riconosciuta, gli aiuti mani, gambe ed assetto agiscono simultaneamente, situazione appunto non dissimile da quella che serve a mandare il cavallo nella mano. Anche in questo caso c’è contemporaneità nell’uso di aiuti che hanno un significato diametralmente opposto. Inoltre l’assetto, inteso come uso del bacino, non ha il potere che gli si attribuisce di essere in grado di provocare l’impegno dei posteriori, salvo forse nel caso in cui si monta il cavallo a pelo… ma anche così per lui questa azione è sinonimo solo di un cavaliere che si agita in sella.
Altra situazione tipica, quella di usare le gambe nelle transizioni a scendere con l’idea di far venire i posteriori sotto alla massa. Ancora dal punto di vista del cavallo, pratica insensata perché ancora una volta si tratta di messa in gioco di aiuti contraddittori fra di loro.
Insomma il cavallo, anziché andare nella mano, o rilevare morbidamente l’incollatura, o eseguire transizioni fluide, prestando attenzione al cavaliere in maniera fiduciosa, si sente costretto fra mani e gambe e sorgono guai di ogni genere: per esempio, comincia a rovesciare sempre più l’incollatura per sottrarsi al dolore provocato dal filetto sulla lingua, oppure, essendo portato ad appesantirsi, diventa sempre più forte sulla mano fino a rendere impossibile il suo controllo, e ancora, avendo un freno costante sulla bocca, inizia a non rispondere più alle gambe.
Ecco il perché di tanti problemi in questo ambito, il perché dell’uso delle imboccature più svariate, di redini ausiliarie di tutti i tipi (di ritorno, elastiche, gogue, chambon, ecc.), di chiudibocca sempre più stretti.
Ancora una pratica comune di molti cavalieri, specie di medio-alto livello, è quella di cercare la riunione spingendo il cavallo in avanti con le gambe e assetto, e trattenendo con le mani, con l’idea di far venire i posteriori sotto la massa e alleggerendo così il treno anteriore (il garrese dovrebbe alzarsi e l’incollatura rilevarsi).
Anche questa idea, fra l’altro molto suggestiva ma, secondo i principi della Scuola della Leggerezza, assolutamente falsa e non attinente alla realtà, presenta le stesse problematiche di cui accennato fino ad ora.
In primo luogo, questo procedimento, infatti, induce i cavalieri a prendere un contatto deciso con la bocca del cavallo (redini tese) con le mani basse, e contemporaneamente ad attivare continuamente le gambe. Da ciò consegue che il cavallo si sente chiedere dal cavaliere di andare avanti e nello stesso tempo di rimanere sul posto da mani che resistono ma che, rimanendo basse, di fatto tirano.
Questa, ancora una volta, è una messa in gioco di aiuti contradditori fra di loro, che portano il cavallo a non capire più cosa si vuole da lui: andare avanti o rimanere sul posto? In questa situazione in lui cresce l’ansia, l’irrigidimento, e nascono atteggiamenti di insofferenza alla mano e di difesa come digrignamento di denti, lingua penzolante, forte peso sulle braccia, ecc., oppure il cavallo si mette indietro, scarta, va in fuga, si impenna, ecc.
Rappresentazioni dell'impulso secondo l'equitazione ufficiale, immagini suggestive ma prive di fondamento. Questa idea crea di fatto un'equitazione basata sullo "spingere e il tirare", oltre a cavalli sottoposti continuamente a compressione (che non è riunione).
In secondo luogo, quello che si ottiene, quando il cavallo per qualche motivo subisce silenziosamente questa che si può considerare una vera e propria tortura, è compressione, e non certo riunione, e si accompagna quasi sempre ad un grado più o meno elevato di incappucciamento, ossia la posizione del collo e della testa molto bassa e il naso dietro la verticale o addirittura al petto. Il cavallo è contratto perché sotto pressione, quindi la decontrazione, ingrediente indispensabile della riunione, è inesistente. Questa contrazione muscolare, di fatto accorciamento della muscolatura, è in antitesi con l’allungamento dei muscoli dorsali e dell’incollatura, prerequisito indispensabile per la riunione stessa.
Inoltre, la riunione avviene quando il cavallo, abbassando le anche e portando i posteriori sotto la massa, trasferisce il suo baricentro indietro. Nella compressione invece accade che il cavallo si appesantisce davanti affossando il garrese fra le spalle.
È evidente quindi che siamo lontani da una qualsiasi idea di riunione nel senso classico del termine, anche se oggi viene comunemente accettata come tale anche quella situazione dove appunto il cavallo è incappucciato, contratto, sulle spalle. Chiaro segnale di una deriva tecnica e culturale in atto nel mondo equestre.
La Scuola della Leggerezza propone una visione opposta e antitetica sia per quello che riguarda la messa in mano che per ciò che riguarda la progressione per arrivare alla riunione.
Essa prevede che il punto di partenza del lavoro sia situato nella parte anteriore del cavallo, e non in quella posteriore, con particolare riferimento alla bocca, fonte della maggior parte delle difese e dei problemi legati proprio alla ricerca della messa in mano e, di conseguenza, della riunione.
Questa visione trae origine dalle scoperte di François Baucher (1796-1873) il quale, operando una vera e propria rivoluzione copernicana dell’equitazione, cominciò a considerare la riunione come risultato (e passaggio successivo) della decontrazione e della messa in mano, in opposizione alla visione fino ad allora comunemente accettata che considerava la riunione una premessa indispensabile per arrivare alla messa in mano e alla decontrazione totale.
In particolare egli individuava nella decontrazione della bocca (e della mascella) e nella flessibilità dell’incollatura le premesse indispensabili per portare il cavallo nella mano e prerogativa indispensabile per arrivare a riunirlo, mettendo a punto un sistema che invertiva completamente il principio che tutto partirebbe dai posteriori, dalla spinta da dietro e come conseguenza si migliorerebbe il davanti, ossia la leggerezza alla mano e l’equilibrio generale, fino ad arrivare alla riunione.
A questo proposito occorre sottolineare il fatto che nel cavallo la necessità di essere rilassato e flessibile, prima di impegnarsi in una ginnastica e in esercizi difficili che richiedono contrazione muscolare, è perfettamente in linea con le esigenze della fisiologia del muscolo in preparazione allo sforzo fisico, come ben sanno allenatori e preparatori di atleti degli sport più diversi. Viene da chiedersi come mai per l’atleta-cavallo le cose dovrebbero essere differenti.
Altro concetto fondamentale del Baucher “seconda maniera” ed espresso in modo ineccepibile dai suoi successori Etienne Beudant e François Faverot de Kerbrecht, era il famoso “mani senza gambe, gambe senza mani”. Questo concetto di importanza capitale è oggi praticamente ignorato e utilizzato inconsapevolmente solo da qualche cavaliere di talento. In termini pratici:
- usare le gambe (supportate da un eventuale aiuto accorto e intelligente della frusta), avendo cura di andare avanti con le mani, lasciando per così dire libera la strada davanti al cavallo;
- non cercare ad ogni costo di “raccogliere”, tramite una tensione costante e prolungata di redini tese con mani basse, l’impulso che si è venuto a creare ma lasciare che il cavallo esprima il movimento in avanti;
- usare le mani, meglio se portandole verso l’alto, in assoluta assenza di gambe, quando si tratta di rallentare il cavallo, o di fermarlo, o di eseguire una mezza fermata.
Con soggetti giovani all’inizio dell’addestramento, la scuola degli aiuti diventa così materia comprensibile e interessante, il cavallo non va in confusione e non viene disgustato da essi, e l’equitazione diventa veramente piacevole per lui e per il suo cavaliere.
La mezza fermata classica, quella proposta da François Robichon de La Guérinière (1688-1751), prevede il solo uso delle mani, peraltro dal basso verso l’alto, niente a che vedere da quella praticata ed insegnata oggi. L’assoluta assenza di gambe ne è la caratteristica principale, e si usa generalmente per alleggerire alla mano un cavallo che tende ad appesantirsi sul davanti, e non per richiamarne l’attenzione in vista di un esercizio. La mano non opera trazione da avanti a indietro ma agisce verso l’alto, anche in questo caso agendo sulla commessura labiale, risparmiando la lingua del cavallo, e finisce la sua azione con una discesa di mano cioè la mano si riabbassa lasciando pressoché libero il cavallo, per verificare che esso sostenga la sua incollatura da solo.
La riunione, infine, arriva alla fine di un percorso non facile e non breve (questo dipende dall’esperienza del cavaliere), scandito da un approfondito lavoro su due piste, con particolare attenzione alla spalla in dentro, dalle transizioni, dallo studio dei passi indietro e infine, dal curare le transizioni stesse a un livello sempre più alto, giungendo al piaffer, che è un po’ la prova del nove della riunione e del buon lavoro fatto fino a quel momento. A questo livello gli aiuti mani e gambe hanno già iniziato a combinarsi fra di loro e a sovrapporsi, ma c’è da sottolineare che il cavallo a questo punto ha imparato in tutti i suoi aspetti più sottili il significato delle gambe (alla cinghia, arretrate) e della mano (decontrazione della bocca, flessioni, mezze fermate) quindi dispone di una scuola degli aiuti eccellente.
Così come il bambino a scuola impara le lettere dell’alfabeto (mani, gambe e assetto) e poi inizia a disporle per formare le parole (transizioni, lavoro su due piste) e infine a combinare le parole per formare frasi (riunione).
Insomma, lo studio della riunione è un processo lento e impegnativo, che richiede tempo e dedizione, e non si risolve nel mettere sbrigativamente il cavallo fra mani e gambe, contando magari solo sulla qualità del cavallo, ma è una meta ambita e sudata di chi tiene in considerazione l’aspetto fisico, morale e mentale del proprio cavallo.
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3 commenti:
Aggiungo che questo articolo di Massimo è stato rifiutato dalla redazione di Cavalli&Cavalieri per la pubblicazione, salvo pesanti e sostanziali modifiche.
e bravi, quelli della redazione Cavalli e cavalieri, cavalieri volutamente scritto in minuscolo, il vostro rifiuto indica la vostra totale chiusura mentale, bene faccio a non comprare più la vostra rivista.
1. l'articolo indica perfettamente come si ottiene collaborazione al lavoro da un cavallo e qual sono i gradi per raggiungerla.
2.anche se ci fossere alcune inesattezze, e non ci sono a parte la comparazione del gouge con lo chambon, lasciate al pubblico il giudizio, censurate quei tre neuroni che spaziano in un vuoto cosmico...
Inaccettabile direi, chiudere gli occhi davanti all'evidenza.
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